Corriere della Sera, 16 marzo 2015
Il mistero della scatola nera della Norman Atlantic. Dalla dinamica al numero di vittime, ecco tutti i punti da chiarire. Gli investigatori: mancano gli audio
La preoccupazione di un investigatore riassume il caso: «Gran parte o forse tutte le registrazioni audio sono mancanti», dice. «Un fatto davvero strano». Parliamo del Vdr, il «voyage data recorder» del traghetto Norman Atlantic, in pratica la sua scatola nera. I tecnici hanno provato a leggere i dati registrati per fissare i primi punti fermi dell’inchiesta e hanno scoperto però che non tutti sono decifrabili. In particolare mancherebbero, appunto, gli audio. Un giallo.
Un passo indietro. Torniamo all’alba del 28 dicembre 2014 quando il Norman, che partito dalla Grecia navigava in direzione di Ancona, prese fuoco davanti alle coste albanesi per motivi ancora sconosciuti. La situazione oggi è questa: 11 cadaveri recuperati, 18 dispersi ufficiali, un numero ancora imprecisato di clandestini a bordo, finora del tutto inesplorate le parti centrali dei ponti 3 e 4 (cuore dell’incendio) e, infine, sono indagati in sei (fra persone fisiche e società) dal pubblico ministero della Procura di Bari Ettore Cardinali.
Per capire se sia stata corretta la gestione dell’emergenza, per sapere se il fuoco è stato fronteggiato nel modo giusto (è nell’elenco dei «rischi specifici» della navigazione e richiede passaggi precisi per essere scongiurato e affrontato) sarebbero fondamentali le informazioni del Vdr. Ma niente da fare.
Finora non è bastato l’utilizzo del software fornito dall’azienda che ha installato la cosiddetta «capsula», quella che memorizza e custodisce le informazioni delle ultime 12 ore prima di un incidente, un incendio, un naufragio. Funziona così: il comandante della nave blocca le registrazioni e il marchingegno le congela invece di sovrascriverle con nuovi dati nelle ore successive. Fino a quel punto le cose avevano funzionato. Il comandante Argilio Giacomazzi aveva fatto quel che doveva. Quindi adesso si trattava semplicemente di estrarre le informazioni e capire se ci furono errori o negligenze nella catena di comando durante l’incendio.
E invece no. A quanto pare non soltanto la capsula ma anche l’hard disk che le ha inviato i dati è inutilizzabile perché è finito tra le fiamme e il suo supporto in plastica, che si è sciolto sul disco, difficilmente potrà essere rimosso senza compromettere la registrazione. Per decifrare il contenuto della capsula, invece, resta una sola possibilità: provare con il software di chi l’ha prodotta. Sulla possibilità che funzioni sono tutti scettici, compreso il legal team «Giustizia per il Norman Atlantic» che segue i familiari di una ventina di passeggeri. L’avvocatessa Alessandra Guarini ha parlato con chi dispone di una copia dei dati della scatola nera: «Sappiamo che ci sono delle difficoltà, nessuno sembra sapere come estrarli. Mi dicono che forse qualcosa è andata storta quando furono eseguite le copie e non è da escludere nemmeno che i file audio non siano presenti nell’hard disk originale».
Una cosa è certa, se non si riuscirà a sciogliere questo nodo ne risentirà molto l’inchiesta che già deve misurarsi con mille difficoltà tecniche e pratiche. Come l’apertura del portellone deformato dal calore: per riuscirci serviranno ancora settimane e solo quando sarà aperto si sgombreranno i ponti 3 e 4 dalle carcasse di auto e tir e si saprà se da qualche parte ci sono altri resti umani. Perché anche su quel fronte è in corso un giallo: due dei morti recuperati non hanno nome ma non corrispondono nemmeno ai due clandestini (madre e figlio) che i parenti reclamano dalla Germania. La verità è che in questa storia niente è davvero ancora detto.