il Giornale, 16 marzo 2015
Ritratto al vetriolo di Alessandra Moretti, la signora nessuno che vuole diventare qualcuno. Ora sogna il trono del Veneto grazie agli autogol altrui
In principio fu Giorgio Carollo, ex dc veneto come Rumor e Bisaglia, approdato poi in Forza Italia di cui è stato coordinatore regionale ed eurodeputato prima di autoproclamarsi leader dei «veneti per il Ppe» contro Silvio Berlusconi. Nel 2007 sui manifesti elettorali della lista «Under 35» per il consiglio provinciale di Vicenza in appoggio a Carollo (assieme ad altre tra cui Udeur e Italia dei valori) campeggiava il faccino acqua e sapone di Alessandra Moretti, avvocatessa matrimonialista. Lista centrista, terzista, «né-né»: né con Veltroni né con Berlusconi. Gli aghi della bilancia, gli antenati di Alfano.
L’ago della rampante Moretti si spostò poco: la sua lista prese lo 0,5 per cento. Nella sacrestia d’Italia però il fiore era sbocciato. La candidatura del 2003 alle comunali con i Ds non aveva lasciato traccia; neppure i transfughi di Berlusconi garantivano prospettive. Ladylike Alessandra passava le giornate dall’estetista (come ha rivendicato con orgoglio contrapponendosi all’incapacità di Rosy Bindi di «mostrare un volto piacente»), non ancora nei salotti tv a proclamare il verbo renziano. Nessuno però avrebbe immaginato che, tra una ceretta e un Giletti, un giorno la Moretti avrebbe potuto guidare la sua regione. E che i litigi nella Lega, egemone in Veneto, avrebbero rischiato di farla vincere. La Signora Nessuno governatrice per demeriti altrui.
La guerra fratricida tra Flavio Tosi e Matteo Salvini ha rimesso in corsa LadyAle, che un mese e mezzo fa nei sondaggi era staccata di 20 punti dal governatore in carica Luca Zaia. Ora la sua strategia è strappare ovunque voti padani. Ha pensato bene di chiedere una mano a Franco Rocchetta, fondatore trent’anni fa della Liga Veneta, deputato e sottosegretario del Carroccio, arrestato (e ancora indagato) nell’ultima inchiesta sul separatismo eversivo veneto. Sta cercando di fare propri i temi dell’avversario: «Parlare di regione a statuto speciale non è un tabù», ha scritto la Moretti su Facebook. Aggiungendo che «il Veneto chiede solo di avere più competenze e di trattenere i tributi come fanno Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige». E soprattutto i leghisti.
La rottura con Tosi è per lei un toccasana insperato. Gli elogi per il sindaco di Verona si sprecano: «È coraggioso, mi ricorda Alfano – ripete -, il delfino designato di Berlusconi che ha avuto il coraggio di staccarsene. Vincerò perché loro litigano per le poltrone e sfilano a fianco di Casa Pound, mentre noi stiamo ascoltando i veneti». Sembra Bersani che applaudiva Gianfranco Fini quando strappò dal Cavaliere. La Moretti fa lo stesso con Tosi, augurandosi sotto sotto che faccia la stessa fine di Fini anche se non lo ammette: «Conosco Tosi perché per cinque anni ho fatto il vicesindaco a Vicenza. È un bravo amministratore e una persona moderata con cui ci si può confrontare sui contenuti».
Cinque anni a Vicenza, cinque anni di gaffe. Alessandra Moretti ne ha collezionate a iosa. Partita Ds e diventata centrista, nel 2008 – dopo aver strappato lo zero virgola alle provinciali – Ladylike si candidò in comune con la lista civica di Achille Variati, ex dc sponda Margherita. Le cose non andarono meglio: appena 195 voti, terza nella corsa delle preferenze nonostante fosse capolista. Tuttavia il nuovo primo cittadino la promosse vicesindaco, e siccome era laureata in criminologia sul femminicidio e faceva l’avvocato le affidò la delega all’istruzione.
Un paio di mesi e Variati si rese conto dell’azzardo. Successe quando un ex pd passato all’Idv, Luciano Parolin, studioso delle iscrizioni commemorative appese ai muri di Vicenza, scoprì un incredibile sfregio all’ingresso dell’ex convento di Santa Maria Nova, nel dopoguerra campo profughi per gli esuli istriani. Da una lapide era stato scalpellato via il nome del sindaco che aveva ristrutturato il complesso trasformandolo in una scuola. Era il predecessore di Variati, Enrico Hullweck. Un berlusconiano. L’«ordine verbale» di alterare la targa davanti alla quale ogni 10 febbraio si commemorano le vittime delle foibe era venuto dalla Moretti. Eliminare i simboli degli avversari politici: roba da Corea del Nord.
Le gaffe vicentine di Alessandra Moretti si moltiplicarono. Fu criticata dal direttore di un giornale locale perché paracadutata dal partito e lei rispose con un elogio della raccomandazione. Nel 2012 si fece fotografare a una festa dell’Unità con il logo di «Erodem, per un erotismo democratico»: un’anticipazione della svolta ladylike. E quando fu nominata portavoce di Pier Luigi Bersani sparì per mesi da Vicenza. Se la cavò regalando in beneficenza metà di uno stipendio da vicesindaco. Duemila euro ai disabili e oplà, la coscienza è ripulita e l’arrampicata all’empireo pd prosegue.
Anche da portavoce dello smacchiagiaguari, Ladygaffe non si smentì. In uno scambio di tweet con Luca Sofri dichiarò che i piddini con tre legislature non erano ricandidabili. Il blogger le fece notare che il segretario era tra quelli e lei non fece una piega: «Ha fatto solo due mandati per quanto ne so io». Naturalmente sbagliava. Passate le elezioni pensò bene di traslocare armi bagagli e beauty-case da Renzi. Con lui non poteva fallire sul numero di legislature: il premier non è mai stato eletto in Parlamento.
Cruciani e Parenzo alla Zanzara le chiesero quante volte Bersani era stato ministro. Lei inciampò ancora: «Due». Invece erano tre. E che lavoro faceva il padre a Bettola? «Il meccanico». Macché, gestiva una pompa di benzina. Alessandra non sapeva nulla dell’uomo affidato alle sue cure mediatiche. A quel tempo Renzi era ancora un belzebù: «Assomiglia a Berlusconi, fa la primadonna, è egocentrico e pure maschilista. Ha una corte di donne, ama essere al centro dell’attenzione». Lei non aveva occhi che per Bersani, «bello come Cary Grant, alto e con le spalle larghe», mica come Cicciobello Renzi «che ha pure quel modo di parlare così strano...».
Di gaffe in gaffe, Alessandra Moretti «brava bella e intelligente» ha dato la scalata al partito, al Parlamento italiano e a quello europeo. Alla Camera non si è segnalata per particolare attivismo a parte l’introduzione del divorzio breve, provvedimento di cui è relatrice, magari per sistemare il ménage con Massimo Giletti. Ora sostiene, come uno speculatore di Borsa, che «anche il Veneto è scalabile». E per darsi lo slancio ha deciso di cavalcare l’onda autonomista, hai visto mai che i leghisti mettano gli occhi su di lei. Un grande lavoro attende l’estetista che le sta rifacendo l’immagine.