La Stampa, 16 marzo 2015
«Putin usa la stessa politica che ispirò Hitler: avere nemici, essere più forte, combatterli e distruggerli». Parla Tusk. Secondo il presidente dell’Ue le sanzioni non vanno cancellate e sull’Ucraina «dobbiamo tenere alta la pressione»
A metà di un pasto in cui non mangerà neanche una foglia di insalata, e dopo aver scherzato su quando gli chiedono se il suo nome sia scozzese, Donald Tusk affronta il nodo dell’accordo di Minsk (sulla tregua nell’Est Ucraina, ndr) e ammette l’inevitabile: «Sono scettico sulla buona volontà dei russi e persuaso che tutto ciò di cui c’è bisogno è mantenere la pressione, non discutere sui dettagli». È il dovere dell’Europa, assicura il presidente del Consiglio Ue, lo chiede anche l’amico Obama. «Se a giugno non confermeremo le sanzioni – avverte -, s’inizierà una fase molto critica per i rapporti transatlantici». Del resto, per spiegare il pensiero di Putin, il polacco rievoca la dottrina del filosofo tedesco Carl Schmitt che ispirò Hitler. «È una politica molto semplice – rivela -, “avere nemici, essere più forte, combatterli e distruggerli”».
L’ex premier di Varsavia, casacca popolare, da 106 giorni guida il club dei leader dell’Unione. «Ho fatto in tempo a capire che esiste una differenza fra le ambizioni e il possibile – confessa -. In Polonia, il capo del governo è una figura molto forte, non è costretto a ore di confronti per decidere». A Palazzo Justus Lipsius, invece, «si esige un compromesso a ventotto, esercizio difficile, soprattutto in tempi critici come questi». Elenca le crisi, Ucraina, Libia, Grecia. Temi sui quali, spiega, «il minimo denominatore comune si avvicina troppo spesso allo zero».
Si è letto che il formato «Normandia» (Russia, Germania, Francia e Ucraina, ndr) e l’accordo di Minsk a quattro sull’Ucraina non le sia piaciuto. Vero?
«È stata un’intuizione per avere almeno qualche risultato in un processo difficile. L’ho ben accolto per questo, anche se genera un disagio per me, perché è un negoziato senza le istituzioni Ue».
È stato difficile persuadere tutti ad accettarlo?
«Per prima cosa ho dovuto convincere la Polonia, dove i sentimenti erano un po’ ambigui. Però la cosa più importante, in diplomazia, è l’efficacia dell’azione. Dovevamo impedire una guerra e una resa. I risultati sono lungi dall’essere soddisfacenti. Ma intanto è un processo che limita l’aggressività dei russi».
Ha denunciato il rischio di un «appeasement». È un termine che richiama la politica europea verso il nazismo.
«L’accordo di Minsk non è un duro trattato di pace con regole chiare. La scelta di questa parola non riguarda l’intesa, che è anzi il primo tentativo di evitare l’appeasement. Si riferisce all’approccio avuto da alcuni politici, per i quali l’Ucraina è un paese lontano e non è affar nostro».
Niente da ridire, allora?
«Minsk contiene parti insidiose, non si sa se parla di autonomia o decentralizzazione, né quali sono i confini da rispettare. Eppure ha fermato la guerra e lo spargimento di sangue, liberando l’Ucraina da un conflitto permanente contro i separatisti, dunque contro la Russia, in cui non aveva possibilità di vincere. Inoltre ha dato tempo all’Ue di prepararsi per un disputa protratta».
Il suo tweet sull’appeasement è stato letto come una critica all’alto rappresentante Ue, Federica Mogherini.
«Non lo era. Le sensibilità potranno anche essere diverse, ma la nostra cooperazione è migliore di quanto alcuni pensavano sarebbe stata. Mi piace il suo attivismo. Ci sentiamo spesso e siamo molto leali l’uno nei confronti dell’altro».
A giugno scadono le sanzioni. Cosa farà l’Europa?
«L’accordo di Minsk ha senso solo se attuato sino in fondo. E ciò non è possibile senza mantenere la pressione. Chi invita a credere alla buona fede dei separatisti e dei russi è naif o ipocrita. Se vogliamo sostenere lo sforzo di Merkel e Hollande dobbiamo tenere le sanzioni sino al pieno rispetto delle intese. Cioè sino a quando Kiev sarà responsabile per i suoi confini nazionali».
Ha visto Obama. Cosa pensano alla Casa Bianca?
«È un approccio simile alla Merkel. Confermare le sanzioni può bastar loro per dire che siamo ancora insieme in questo conflitto».
Parliamo di Grecia, lei presiede anche l’Eurozona. Vede un rischio di uscita di Atene?
«Il mio sforzo è mantenere l’Eurozona unita. In Germania certi esperti dicono che “Grexit” sarebbe una soluzione. Non ci vedo nulla di buono. Dobbiamo evitare questo scenario idiota».
Come?
«Tenendo presente che non è solo questione di numeri. C’è la geopolitica: immaginate l’Ue senza la Grecia? E poi, come in ogni famiglia, è questione di disponibilità a sostenersi, a considerare la dignità e le emozioni degli altri».
Il premier Tsipras è ai ferri corti coi tedeschi...
«Questo governo di Syriza è un caso difficile. Spesso sono irritanti e capisco anche i politici tedeschi, sono spesso il loro bersaglio. Dobbiamo capirci l’uno con l’altro. L’ho detto a Tsipras: “Smettila di scherzare, hai bisogno di miliardi di euro e non puoi attaccare e offendere ogni giorno chi ti può aiutare”. Di persona è piacevole e calmo. Ma deve tener conto del suo partito».
Libia. Possibile un’operazione di «peacekeeping» a situazione stabilizzata?
«Siamo al principio d’un processo che deve portare a chiarire le nostre intenzioni comuni. Non solo sulla Libia, ma anche su quello che c’è interno, Russia compresa. Renzi ha detto che può aiutarci, io non ho attualmente argomenti per dire come sia possibile. Intervenire sarebbe la cosa più semplice. Però, prima di farlo, dobbiamo sapere come agire dopo averlo fatto. Occorre una strategia di lungo termine».