Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 16 Lunedì calendario

OBAMA ALLA DISFIDA DELL’AMBIENTE

Tra i tanti effetti collaterali della caduta dei prezzi del petrolio e del gas, ce n’è uno abbastanza negletto che rischia di diventare esplosivo. E’ la guerra ingaggiata dai repubblicani contro le politiche ambientali e climatiche dell’amministrazione Obama, che lascia intravedere un biennio (fino alle prossime elezioni presidenziali nel 2016) di polarizzazione ancor più estrema della politica americana di quella registrata negli ultimi anni, con conseguenze decisive anche sul piano mondiale. Il timore che la caduta dei prezzi degli idrocarburi possa ingenerare un rimbalzo sostenuto dei consumi, e quindi delle emissioni di inquinanti e gas serra, sta spingendo gli uomini di Obama ad accelerare una serie di interventi ambientali e climatici che, secondo i repubblicani, avrebbero conseguenze nefaste per l’economia statunitense. Obama ci ha già provato con il carbone.
L’America è l’Arabia Saudita del carbone: ne possiede le più grandi riserve e ne è il più grande produttore al mondo. Fino al 2012, il 50 per cento dell’elettricità statunitense era prodotta a partire da carbone, poi il crollo dei prezzi del gas all’interno del paese ha reso meno conveniente l’uso della più inquinante tra le fonti fossili, riducendone il consumo nel settore elettrico al 33 per cento attuale. Forte di questa tendenza e dell’ampia disponibilità di gas naturale, Obama ha spinto l’Agenzia per la Protezione Ambientale (Epa, Environmental Protection
Agency) a varare un piano per una drastica riduzione delle emissioni delle centrali a carbone (il 30 per cento entro il 2025 rispetto al 2005) che, se attuato, porterebbe alla chiusura di molti impianti di generazione elettrica a carbone. L’Epa otterrà lo stesso risultato grazie a normative severe già varate per l’abbattimento di inquinanti nocivi per l’ambiente e la salute, a partire dal mercurio - di cui le centrali a carbone sono il singolo maggior emittente su scala mondiale. In un crescendo di interventi, tuttavia, l’attività dell’Epa si è estesa alle emissioni di inquinanti potenzialmente cancerogeni delle raffinerie e, negli ultimi mesi, ha proposto una nuova normativa per limitare le emissioni di ozono in atmosfera, anche questa destinata a colpire raffinerie e impianti per la produzione elettrica. Adesso i tanti nemici dell’Epa temono che essa possa arrivare a colpire il fracking - cioè la tecnica di estrazione che ha reso possibile la rivoluzione americana del petrolio e del gas - proprio nel momento in cui i prezzi in caduta del greggio complicano la vita a molti petrolieri, tradizionalmente repubblicani.
L’Epa ha poteri molti vasti e - in qualche modo - la sua attività può aggirare il vaglio del Congresso. Per questo motivo, i democratici hanno cercato di utilizzarla in questi anni per ottenere risultati sul piano ambientale altrimenti irraggiungibili per via legislativa, senza peraltro soddisfare minimamente la base “verde” che ha creduto in Obama. In compenso, l’Epa ha attirato gli strali repubblicani, che la ritengono uno strumento fuori controllo viziato da una visione ambientalista radicale. Alcuni esponenti di punta del partito vorrebbero addirittura abolirla, altri ne vorrebbero limitare drasticamente l’influenza. L’ultimo capitolo della disfida sull’ambiente è stato quello sul grande oleodotto - Keystone XL che dovrebbe essere costruito tra Canada e Stati Uniti per aumentare la capacità di importazione americana di greggio canadese. Da anni se ne discute, e nel frattempo i costi previsti sono più che raddoppiati; ma la base ambientalista che ha sostenuto Obama non ne vuole sapere. Poche settimane fa, i repubblicani al Congresso avevano votato una legge per autorizzare l’oleodotto, ma il Presidente ha posto il veto alla legge, sostenendo che la competenza a decidere è solo dell’amministrazione in carica poiché l’oleodotto ha carattere transnazionale. Così l’oleodotto della discordia è tornato in un limbo.
Nel resto del mondo, la guerra su clima e ambiente tra Obama e i suoi avversari è forse meno visibile di quella sulla politica estera, che ormai ha toccato punte di parossismo. Nondimeno, è una guerra altrettanto feroce, alimentata non solo da motivi ideologici ma anche da enormi interessi economici. Sia su ambiente e clima, sia su politica estera, i congressmen repubblicani si stanno perfino spingendo a delegittimare Obama sul piano internazionale. Lo avevano già fatto dopo l’accordo tra Cina e Stati Uniti sugli impegni comuni per il cambiamento climatico: i repubblicani si erano affrettati a far sapere ai cinesi che quegli accordi non sarebbero mai stati approvati dal Congresso. In modo ancor più destabilizzante lo hanno fatto qualche giorno fa, invitando l’ayatollah Khamenei a non cercare un accordo sul nucleare con l’amministrazione Obama, poiché un simile accordo sarebbe mandato in frantumi da un futuro presidente repubblicano. Segnali inquietanti di una feroce guerra interna che non risparmia più nemmeno la credibilità presente e futura delle massime istituzioni statunitensi.
Proprio su ambiente e clima il Presidente vorrebbe lasciare un segno ai posteri dopo aver promesso tanto. Impresa difficile di fronte a una maggioranza repubblicana che cercherà di negare o ridimensionare il problema del cambiamento climatico, di far fallire la conferenza di Parigi (2015) sul clima, di limitare al massimo i sussidi alle rinnovabili e di spingere il più possibile lo sviluppo delle risorse di cui l’America è ricca, cioè carbone, petrolio e gas.
Sarà una guerra a tutto campo che, combinandosi con la guerra in politica estera, destabilizzerà ogni prospettiva di un residuo di biennio bipartisan e inciderà in modo determinate sul modo in cui ambiente e clima saranno trattati nei prossimi anni a livello globale.