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 2015  marzo 16 Lunedì calendario

ARTICOLI SULLA SERIE A DAI GIORNALI DI LUNEDì 16 MARZO 2015


MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA -
L’Inter esiste solo nell’ultimo quarto d’ora quando trova spazio sulle ali e quando il Cesena perde organizzazione con la stanchezza. L’attacco è la cosa migliore di una squadra che non ha chi sappia costruire gioco. Nessuno cerca lo spazio, i passaggi sono solo sui piedi dei giocatori che aspettano immobili. Il gol degli altri arriva sempre. Comincia a mostrare limiti anche l’autostima, vengono meno gli scopi. Mancini non è tecnico da cose normali, reagirà, ma la squadra è davvero leggerina. Non è da cambiare, è da inventare. In questo momento della stagione il calcio è stanco in generale, soprattutto in Italia. Con la primavera un po’ di corsa tornerà, ma questo resta per tutti il momento peggiore. La cosa è evidente sui campi. Pochi tiri, continue mischie sulle trequarti. La stessa Juve vince con l’unico tiro, peraltro bellissimo. Molto difficile per chi guarda appassionarsi a una partita solo per il piacere del calcio. Bisogna avere grandi interessi sentimentali. La leggenda vuole che in Italia si sia lenti. È la lentezza che rende tutto evitabile. È vero ma non è una carenza di preparazione. Quella ormai è come gli antibiotici, è uguale in tutto il mondo, quasi impossibile sbagliarla. È solo vero che in tutta Europa si gioca diversamente. Gli altri corrono e pressano, giocano in modo verticale. Noi schermiamo, alziamo piccole barriere che moltiplicano gli uomini addetti a coprire il campo soprattutto in largo. Ma non sono meglio di noi. La differenza vera è negli uomini. Se c’è una cosa eccezionale in questi anni di calcio globale è la buona qualità media dei giocatori e la mancanza di fuoriclasse. Questo limita anche le conseguenze degli investimenti dei nuovi ricchi, hanno soldi ma non hanno molto da comprare. Così dominano le squadre con gli unici fuoriclasse a disposizione. Siamo tutti troppo abituati al rendimento di Ronaldo e Messi, non capiamo fino in fondo la loro differenza. Ma hanno segnato 40 reti a metà marzo, 80 in due. Tevez è a 15, Higuain, che è forse il miglior giocatore in Italia, appena 13. Non è solo un problema di campionato, è proprio una differenza eccessiva a cui non siamo più abituati. Non ci sono mai stati due attaccanti così. Spargendoli su un calcio normalizzato è facile ottenerne risultati eccezionali. Ma fuori da quelli, il calcio è ormai simile dovunque, per questo si può sperare quasi qualunque cosa. Anche andare avanti nelle coppe.

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MAURIZIO CROSETTI, LA REPUBBLICA -
Quando il primo è già sotto la doccia, al traguardo arriva il secondo. Si diceva così, nel ciclismo dei tempi eroici e delle memorabili fughe. Nulla di eroico in questo nostro calcio, ma di sicuro la Juve è ben oltre la doccia: stasera i bianconeri potrebbero pure guardarsi un film invece di Roma- Samp, destino ininfluente, incrocio superfluo, ci sono 14 punti scavati col badile a separare lo scudetto juventino e l’altro campionato.
L’altro campionato: vale il secondo posto e stavolta si gioca di lunedì, con Lazio e Roma a sgomitare dopo che il Napoli non si è manco presentato in campo a Verona (smisurato Luca Toni, la copertina è tutta sua), dove c’erano solo undici magliette vuote. Alle tre del pomeriggio di una domenica assente, sono comparse (senza offesa) solo Atalanta, Udinese, Genoa, Chievo, Sassuolo e Parma, appena sei squadre, anzi cinque e mezza (la mezza, il povero Parma, ne ha pure presi quattro): giusto in quelle città avranno tenuto le tv e le radio accese, e non è neanche detto. In compenso, la Juve aveva giocato sabato a Palermo, e il mini torneo dei secondi arriva oggi per aprire la settimana della Champions e dell’Europa League. Bisogna farselo bastare.
Il campionato è ormai del tutto periferico anche rispetto all’ex Coppa Uefa e alle suggestioni dei tornei esteri, ha molto più sugo aspettare l’imminente Barcellona- Real del 22 marzo (ore 21, non prendete impegni), oppure seguire quello che capita in Premier League. E per chi si fosse distratto, ricordiamo che il prossimo turno lo avremo quasi tutto in notturna, domenica sera, a parte i due anticipi di sabato (Chievo-Palermo, Milan-Cagliari), e con Juventus-Genoa unica partita alle canoniche ore 15 domenicali (Empoli-Sassuolo si giocherà alle 12,30). Se i cinema cambiassero così la programmazione, sarebbero sempre vuoti. Infatti si svuotano gli stadi.
L’altro campionato è un magazzino di scatole cinesi, ad aprirle qualcosa si trova. Il gran nome della domenica è Luca Toni, 38 anni a maggio. L’elenco delle squadre in cui ha giocato è più spesso dell’album Panini, e le porte che ha sfondato non si contano. Tredici gol finora, sette nelle ultime sei partite, gli ultimi due al Napoli che teneva Higuain e Gabbiadini in panchina e si è ben guardato dal mettere pressione alla Roma. Per giocare e durare come Toni bisogna essere non solo campioni ma grandi atleti e persone serie, bisogna amare lo sport e se stessi, rispettando religiosamente il proprio corpo. Giusto cercare sempre i giovani, le novità e il futuro (a proposito, Zaza non vede un gol da più di 400 minuti), ma la classe di certi personaggi non è anagrafe, è storia. L’impresa di Luca Toni l’ha comunque agevolata Benitez, che sbaglia formazione e la corregge tardi. Mai visto lo spagnolo così nervoso, però questo non giustifica il coro “ciccione, ciccione” da parte del pubblico veronese (discriminazione ponderale?). Unica attenuante: il Napoli è la squadra che ha giocato di più, la stanchezza si vede. Più vivace l’Inter, sempre afflitta dai malanni della crescita: contro il Cesena poteva vincere e perdere, infatti ha pareggiato con sfortuna e colpa, sbagliando molto però mai quanto l’arbitro Gervasoni.
In attesa di verificare la portata europea della Juve a Dortmund (meglio lei del Borussia, ce la può fare), nel lunedì travestito da domenica resta da capire se la Roma riuscirà a pareggiare anche contro la Samp, dopo che le è accaduto 10 volte nelle ultime 13, e se la Lazio confermerà contro il Toro di essere la più in forma dell’altro campionato. Quello dove s’arrabatta pure il Milan, impegnato a Firenze all’ora di cena. Ultima cena per Inzaghi?

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MASSIMO CAPUTI, IL MESSAGGERO -
Si può meritare l’onore della cronaca anche con gesti semplici, non solo con esultanze coreografiche, tweet a effetto o pettinature e tatuaggi variegati. Luca Toni, a 38 anni, è un gran bell’esempio: per impegno, umiltà e comportamenti. Quando ormai lo pensavano a fine carriera, che titoli, soldi e dolori, come la tragedia del figlio, potessero avergli tolto stimoli e motivazioni, lui, nato a Pavullo in provincia di Modena, ha voluto, e ci riesce ogni domenica, smentire il mondo intero. Un messaggio per tutti quei giovani calciatori, e non solo, che si sentono già arrivati alle prime apparizioni. Tredici reti nel campionato in corso, 2 meno di Tevez e Icardi, le stesse di Menez e Higuain. Proprio rifilando l’ultima doppietta al Napoli del Pipita, si è guadagnato ancora una volta il ruolo di protagonista, regalando, in attesa delle gare di oggi, la grande sorpresa della giornata. Tra una Juventus che cavalca solitaria al sabato, nell’attesa di Roma, Lazio e Fiorentina, l’ennesimo scivolone del Napoli fa rumore, e tanto. Conferma tutti i limiti di Benitez e della squadra, e fornisce alle rivali un’occasione troppo invitante da poter fallire. Ormai, purtroppo, il campionato è tutto lì, in quel fazzoletto di classifica, ma almeno l’assalto al secondo e terzo posto ha assunto contenuti che vanno ben oltre l’ingresso alla Champions, e i conseguenti sostanziosi ritorni economici. A rendere infatti emozionante e avvincente la volata è l’inatteso derby tra Roma e Lazio. Solo a gennaio, ipotizzare un simile testa a testa sarebbe stato folle. D’altronde la Roma si è fermata al palo, mentre la Lazio ha cominciato a volare. Ora sono vicine, stimolate dalla rivalità, possono regalare un finale mozzafiato. Per entrambe sarà fondamentale approfittare delle situazioni: Torino e Samp, grazie al ko del Napoli, sono le prime prede, sarebbe imperdonabile renderle indigeste.

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GIUSEPPE DE BELLIS, IL GIORNALE -
È bella la storia di Luca Toni che a 37 anni segna ancora: 13 gol in 27 partite. È bella la storia di Antonio Di Natale che a 37 anni segna ancora: 10 gol in 23 partite. Belle, sì, le loro storie. Perché sono i due attaccanti italiani più avanti nella classifica marcatori: quinto e settimo. Dietro o tra di loro ci sono quattro argentini e un francese. Belle, sì, le storie delle loro squadre, cioè Verona e Udinese che credono in questi due centravanti diversi e fortissimi. Lottano per salvarsi entrambe e riusciranno a raggiungere il loro obiettivo grazie a quei due. E racconteremo di come non ci sia età per quelli che sanno giocare a pallone. E racconteremo che la provincia resuscita giocatori che sembrano a fine corsa da tempo e altri giocatori che lì sembrano non finire mai.
Aggrappati alla retorica come siamo non vediamo la morale unica e opposta che c’è dietro le due storie. Se i due attaccanti italiani che segnano di più hanno 37 anni significa che i giovani non esistono. Non sgomitano abbastanza, non combattono a sufficienza. Perché siamo stati anni a rimproverarci che non credevamo nei ragazzi, senza neanche immaginare che ci potesse essere anche un’altra verità. Oggi che i giovani sono stati lanciati, che spesso vengono provati anche al di là degli oggettivi meriti, dove sono i risultati? I ragazzini stranieri funzionano: Dybala e Icardi, Pogba, Salah, Felipe Anderson. I nostri no. Si difende solo Manolo Gabbiadini che di anni ne ha 23, unico con un’età che gli garantisca un futuro che possa essere migliore del presente. È poco, troppo poco, lui. Poco per dire che se i giovani non ce la fanno è sempre colpa degli altri.