Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
È la settimana dei Nobel e ieri i giudici di Stoccolma hanno cominciato con quelli della Medicina. Premiati l’inglese John Gurdon (79 anni) e il giapponese Shinya Yamanaka (50), che studiando, ciascuno per conto suo, le cellule staminali hanno aperto la via alla clonazione e alla medicina cosiddetta “rigenerativa”.
• Si tratta intanto di capir bene che cosa sono queste staminali, di cui si sente parlare di continuo.
Diciamo così: quando, al termine dell’atto amoroso, lo spermatozoo maschile incontra l’ovocita femminile la prima cellula che si forma è una staminale. Questa staminale iniziale comincia a riprodursi e le cellule a cui dà vita si riproducono a loro volta, poi a un certo punto cominciano a differenziarsi, le braccia, le gambe, gli occhi, i capelli, insomma tutto ciò che forma un individuo. Queste sono le caratteristiche che fanno di una staminale una staminale: si riproduce e si differenzia, ossia, man mano che si procede, si specializza.
• Tutto questo è meraviglioso e, suppongo, è stato scoperto dai due scienziati premiati.
Non esattamente. Il processo di riproduzione e di differenziazione era noto. Solo non si sapeva che la cellula sviluppata e diventata un organismo adulto poteva anche tornare indietro, cioè cessare di essere un’adulta e rifarsi bambina. È questa la scoperta che si deve ai due scienziati premiati. Dapprima Gurdon, nel 1962, cioè cinquant’anni fa: prese la cellula di una rana adulta, ne isolò il nucleo e lo inserì all’interno della cellula di un’altra rana a cui aveva rimosso il nucleo originale. Dall’innesto nacque un girino perfetto. Era la prova che la specializzazione delle cellule era reversibile ed era l’inizio di quel gran festival della clonazione che ha portato alla pecora Dolly e a un mucchio di altre diavolerie e filosofie (gruppi parareligiosi che vogliono ricreare uomini, eccetera). Sei anni fa Yamanaka fece il passo successivo: prese delle cellule di topo e le trasformò, mediante una manciata di geni (non mi chieda di più), in cellule bambine, cioè in staminali non più differenziate e che potevano ricominciare da zero il processo di specializzazione. Questa tecnica risolveva un formidabile problema etico: per ottenere staminali-bambine bisognava fino a quel momento ricorrere agli emrbioni, uccidendoli. E la soppressione di un embrione è condannata senza appello dalla Chiesa cattolica che considera quell’organismo di poche cellule un essere vivente in tutto e per tutto. Da questo punto di vista, la soppressione di un embrione equivale cioè a un omicidio.
• Che cosa ce ne facciamo di queste staminali bambine?
Per esempio ricreiamo un tessuto ustionato prendendo una cellula adulta dall’individuo malato, facendola regredire, iniettandola in loco e lasciando che si riproduca e si rispecializzi come se il paziente fosse un neonato. Soltanto in Italia si eseguono più di quattromila trapianti l’anno di midollo osseo per curare i tumori del sangue, gli ustionati rimessi in condizioni di vita quasi normale si contano a migliaia, più di 200 persone con la cornea danneggiata hanno recuperato in tutto o in parte la vista. Tutto questo ha anche determinato, inutile nasconderlo, una pericolosa euforia intorno alle potenzialità di questa tecnica e fatto nascere cliniche specializzate intorno a cui ci sono dubbi che non sappiamo quanto giustificati ma che in ogni caso hanno messo in moto la magistratura. I giudici – per esempio Guariniello - hanno preferito molte volte bloccare cure sperimentali cosiddette “compassionevoli” che non avevano ancora superato tutti i test necessari…
• Possono esserci casi di interventi mediante le staminali che abbiano danneggiato il paziente?
Sì, è successo a un ragazzo israeliano, per esempio, sofferente al sistema immunitario, trapiantato in Russia con le staminali e colpito dopo quattro anni da un tumore al cervello provocato certamente dalla cura. Idem per un paziente a cui avevano iniettato staminali in un rene e che ha sviluppato, proprio in quel punto, un cancro. Ci sono molti altri casi e quindi: le staminali sono un formidabile strumento, ma le cose da capire sono ancora tante, la sperimentazione è lunga, costosa e passa attraverso decine di incidenti ed errori. D’altra parte, in ogni campo, questa è la storia della scienza.
• Racconti l’ultimo successo di questa terapia.
Sul lato della clonazione: le tesi della biologa londinese Aarathi Prasad, che ha appena pubblicato Like a virgin: How Science is Redesigning The Rule of Sex, cioè “Come la scienza sta ristabilendo le regole del sesso”, curioso titolo, in fondo, dato che l’autrice preconizza con entusiasmo la fine del sesso e dei pancioni, tutto extracorporeo, tutto artificiale e/o clonato. Sul lato delle terapie, invece, l’impresa del professor Paolo Macchiarini, originario di Viareggio, uno di quelli messi in condizioni di andar via da giovane dall’Italia e poi in qualche modo almeno parzialmente recuperato. Nell’istituto Karolinska di Stoccolma, lo scorso luglio, ha ricostruito la trachea di un paziente con nanofibre biocompatibili. Ha poi immerso questa struttura artificiale in un bagno di staminali prelevate dal midollo osseo e fatte regredire in modo che si rispecializzassero. Quindi ha trapiantato nel malato l’organo bioartificiale così ottenuto. Non mi chieda di più, anzi spero di averle descritto la procedura senza troppi sbagli. In ogni caso, tre settimane fa, tutta la faccenda si poteva leggere sulla prima pagina del “New York Times”.
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