Gabriele Romagnoli, la Repubblica 9/10/2012, 9 ottobre 2012
CONTE NELLA BOLLA IL MAGNIFICO SILENZIO DELL’ALLENATORE PURO
Guardando “L’Artista” l’abbiamo rimpianto tutti, il cinema muto. Sullo schermo importano le immagini, poche decisive parole che possono anche essere scritte su una lavagna invece che dette. Il resto, alla fine, sai che c’è, è rumore di fondo, son chiacchiere e distintivo.
Così rimpiangeremo tutti, lui per primo, i giorni di Antonio Conte nella bolla. È molto più vero, molto più sano così. È l’allenatore puro, senza l’orpello della dichiarazione a caldo titillata da Varriale, asciutto e non gonfiato dal tremendismo panchinaro dove fa le sue veci una infinitamente più compassata controfigura. Un fumetto in bianco. L’esprit de l’escalier che sale i gradini della tribuna, si accomoda in cabina e pensa: «Avrei voluto dire, ma non ho potuto ». E meno male.
Può sembrare paradossale, in una rubrica che prende spunto dalle parole pronunciate in una domenica di calcio, eleggere a simbolo della giornata il silenzio forzato di Conte. Ma è l’immagine più bella. Lui confinato in una pseudocella trasparente, la sua squadra che vince, gli altri che passano in pellegrinaggio a visitare l’escluso esibendo fattezze e tatuaggi al cui cospetto funge da grazia l’assenza non soltanto dell’audio, ma finanche della didascalia. Valentina
Mezzaroma, cor leone sur bicipite, ma che je dovevi di’ a Conte? Nun se sa. E meno male.
Allegri si lamenta, Stramaccioni si fomenta, Zeman redarguisce, Cosmi ribadisce. Conte, non un fiato. Che pace. Anche per lui. Anche per noi. «Quando tornerà a parlare? », domanda sopraffatto dall’angoscia del vuoto mediatico un cronista di Sky nel pre partita di Siena. E l’amministratore delegato juventino, Giuseppe Marotta, sornione e vendicativo, s’invola sulle ali della sintassi: «Queste norme restrittive dal punto di vista della sua presenza coincidono anche con la sua direi conseguente indisponibilità a comunicare. Queste sono situazioni che penalizzano chi come voi investe dei soldi e porta nelle case quella che è la comunicazione e ciò che un allenatore di prima squadra vuole esternare». Gialappa’s!!! Non aveva
finito. Scusi. Termina: «Tutto sommato la squalifica di un allenatore in prima porta anche un leggero danno».
Oddio. Vediamo un po’ che cosa ci siamo persi. Quali fondamentali comunicazioni Conte aveva esternato fin qui. Le magnifiche sette, in un conto alla rovescia: 7. «Per vincere ci vuole testa, cuore e gambe. Non in quest’ordine preciso» (dimenticando una parte del corpo solitamente abbinata a Sacchi).
6. «Più vai in vetta e più sono forti le folate di vento» (benché gli arbitri, verso alcuni, fischino il giusto).
5. «Oggi è capitato a me, domani a un altro. Ma con lo stesso nome mio, sennò non lo caga nessuno» (la storia sono io).
4. «La storia è bella, ti giri e non te la tocca nessuno» (è una strofa di De Gregori?).
3. «Chi vede Pirlo ha solo voglia di darci dentro» (un momento di ambiguità
capita a tutti).
2. «Ale, perché chiamarlo Del Piero a me viene strano, trasmette qualcosa di speciale anche quando respira » (il riscatto del romanticismo). 1. «Io se perdo muoio» (spiegazione, vagamente estrema, dell’imbattibilità juventina nella sua gestione e delle responsabilità che gravano sui giocatori).
Detto questo, perché dire ancora? Perché non accontentarsi del lascito già consegnato ai posteri e assecondare il monito “il bel tacer non fu mai scritto”? Conte nella bolla è una meravigliosa autonemesi, ma anche una gloriosa smentita di se stesso. La squadra va anche senza il suo perpetuo delirio a bordo campo, anche se dà riposo alla giugulare, non frusta verbalmente De Ceglie e Giaccherini, non gli tocca presentarsi afono alle interviste. Non ce n’è bisogno. Ed è merito suo. Questa Juventus la sospinge un soffio, non c’è bisogno di un urlo. E allora, perché tanto rumore quando basta nulla? L’Artista Conte ci ricorda quanto di superfluo esiste nel calcio (e nella vita pubblica): l’invettiva, la polemica, l’eccesso. Vengono raccolti, alimentati, postati, twittati e ritwittati. Quella è la vera bolla, non la custodia dove hanno riposto l’allenatore in castigo e le sue esternazioni. Un leggero danno, Marotta? Un favore, una lezione di vita. Tutto quel che ci auguriamo è che l’Artista ne esca in punta di piedi, attraversi il campo, sieda sulla panchina che la giustizia gli avrà restituito e al primo microfono che lo solletica dica con un sorriso: «Silenzio, si gioca».