Alessandro Penati, la Repubblica 9/10/2012, 9 ottobre 2012
IL NOBEL
per la Pace alla UE, per la gestione della crisi economica, suona ironico: da come è stata gestita, è un miracolo non siano ancora scoppiate guerre sociali. Sembra di assistere ad “Aspettando Godot” di Beckett: non accade nulla, nell’attesa di qualcuno che non si sa chi sia, né cosa venga fare, e che alla fine non arriva. Metafora perfetta dell’ansia di risolvere la crisi dell’euro, che però non arriva, al di là dell’ottimismo ufficiale. Tre erano i problemi, e tre rimangono.
Il primo è il dissesto delle finanze pubbliche dei Piigs. L’austerità fiscale è stata la soluzione, sancita dal fiscal compact. Tutti i Piigs hanno adottato manovre restrittive. Ma il debito in rapporto al Pil è aumentato ovunque. È la trappola della crescita: politiche
fiscali restrittive, specie col rallentamento globale, hanno aggravato la recessione, che allontana gli obiettivi di riduzione del disavanzo e impone ulteriore austerità. Una trappola in cui sono già cadute Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. L’Italia non è immune: ha appena varato una legge di stabilità che aumenta una pressione fiscale da record, al fine di raggiungere un pareggio di bilancio messo a rischio proprio dall’aggravarsi della contrazione rispetto alle previsioni. Trappola che funziona tanto meglio quanto più si agisce dal lato delle imposte, come da noi. Di tagli veri di spesa, nonostante commissari e spending review, non c’è traccia; né di privatizzare, cancellare i sussidi alle imprese, e riformare il pubblico impiego per ridurre la spesa e aumentare la produttività. Per uscire dalla trappola non resta che aspettare la crescita. Ma la crescita “all’italiana” fatta di tavoli e decreti è una barzelletta. E le riforme, se le si volessero fare, richiederebbero tempi lunghi. Resta il traino della domanda estera: ma gli americani non accetterebbero un forte deprezzamento dell’euro; la Germania non è disponibile a incentivare la domanda interna, perché vuole spingere le esportazioni; e l’Asia rallenta. La crescita come Godot, dunque.Il secondo problema, sono le banche.
Tante sofferenze, destinate a salire con la recessione, e attivi investiti in titoli, fondi, e strutturati, immobilizzati a valori superiori a quelli di mercato. Le banche dei Piigs hanno in più l’onore del rischio paese, che aumenta il costo della raccolta a livelli antieconomici. Un rischio giudicato concreto, tanto che le banche tendono ormai a finanziare le attività in ogni Paese, Italia inclusa, con la raccolta locale. L’incertezza sulla rischiosità e sul vero valore degli attivi fa sì che le banche abbiano crescenti difficoltà a finanziarsi a tassi economici; così la Bce diventa il canale privilegiato di finanziamento, che però chiede in garanzia le attività migliori in portafoglio.
Ragioni di conto economico impongono dunque alle
banche di limitarsi a rifinanziare i prestiti esistenti e a ridurne la rischiosità. L’unico modo per far ripartire il credito, indispensabile alla crescita, sarebbe spostare tutti gli attivi immobilizzati e critici delle banche di ogni paese, a prescindere dal loro stato di insolvenza, in altrettante
bad bank
nazionali. Ma chi le finanzierebbe? Non gli Stati, soluzione canonica, perché farebbe precipitare la crisi delle finanze pubbliche; non lo Esm, che non ha fondi a sufficienza e perché la Germania lo ha appena escluso. Ci sarebbero i capitali privati internazionali disposti a investire, ma a prezzi convenienti; prezzi ai quali, però, le banche non sono disposte a vendere, pur di abbellire il conto economico. Qui, Godot si chiama Unione bancaria.
Il terzo problema sono i flussi di capitale nell’Eurozona. Se prima erano i capitali privati tedeschi a finanziare tutto, dal debito pubblico italiano alla bolla immobiliare spagnola, ora è la Bundesbank, tramite l’intermediazione della Bce, che finanzia i disavanzi della bilancia dei pagamenti di tutti. Ma un’Unione monetaria in cui un paese esporta capitali, e tutti gli altri li importano, non può durare. E questo è un Godot di cui nessuno nemmeno si preoccupa che arrivi.
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