Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 09/10/2012, 9 ottobre 2012
E DOPO TANTI BOBO ECCO BOBI (IL CANE)
In principio, nella Prima Repubblica, c’era il senatore Bobbio, che faceva di nome Norberto e scriveva libri dai titoli pensosi come «Contributi a un dizionario giuridico», «Giusnaturalismo e positivismo giuridico», «L’indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale giuridica», «Dalla struttura alla funzione: i nuovi studi di teoria del diritto»... E via così, di leccornia in leccornia. Dopo di lui, toccò ad «Alì Bobò», nomignolo con cui Umberto Bossi sbertucciava Bettino Craxi. E dopo il «Cinghialone» a suo figlio Bobo, piazzato giovanissimo da papà nel consiglio comunale di Milano e alla guida della segreteria cittadina del Psi e impegnato da una vita intera, mite e gentile, a reggere il peso di tutti quelli che gli dicono: «Ma guarda: l’è tutto il su’ babbo!». Poi si affacciò «Bobby il casto», che Rosy Bindi per ripicca a una battuta volgarotta (chi la fa l’aspetti) chiama «il Signorino Presidente Roberto Formigoni». Entrato in politica a 27 anni, è stato parlamentare europeo, deputato, senatore, governatore per un Ventennio via via più inguaiato della Lombardia nonché presidente della squadra ciclistica «Amore e Vita». Veste nella quale raggiunse Fabrizio Convalle, che stava pedalando in fuga alla Milano-Sanremo, facendogli passare un cellulare dall’auto ammiraglia: «Uellà, Fabrizio! Sono Bobby! Tieni duro che sei forte!». Arrivò infine la volta di Bobo Maroni, il barbaro sognante che sacrificò la sua prima auto agli ideali padani nel senso che il Bossi gli rovesciò per sbaglio sui sedili della macchina un bidone di quella vernice che usavano per scrivere «Viva la Lega» sui cavalcavia senza sapere che quella vernice, per un senso di colpa del Senatur, gli avrebbe salvato la pellaccia dopo il primo tentativo di golpe all’interno del Carroccio. C’è quindi un interessante percorso ideologico e culturale nell’apparizione, nella Sicilia che si appresta alle Regionali, di un volantino che dopo Bobbio, Alì Bobò, Bobo, Bobby e ancora Bobo vede il debutto in politica di Bobi. Un bulldog francese incravattato che in nome del «Partito della Rabbia», che ha come simbolo l’orma di una zampa, corre per finta sui manifesti ideati dal padrone Lillo. Lo slogan: «Meglio un cane politico che un politico cane». Un arrivo sfizioso. Soprattutto in questo momento politico nel quale torna in mente «Er cane moralista» di Trilussa: «Più che de prescia er Gatto / agguantò la bistecca de filetto / che fumava in un piatto, / e scappò, come un furmine, sur tetto. / Lì se fermò, posò la refurtiva / e la guardò contento e soddisfatto. / Però s’accorse che nun era solo / perché er Cagnolo der padrone stesso, / vista la scena, j’era corso appresso / e lo stava a guardà da un muricciolo. / A un certo punto, infatti, arzò la testa / e disse ar Micio: — Quanto me dispiace! / Chi se pensava mai ch’eri capace / d’un’azzionaccia indegna come questa? / Nun sai che nun bisogna / approfittasse de la robba artrui? / Hai fregato er padrone! Propio lui / che te tiè drento casa! Che vergogna! / Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato / peserà mezzo chilo a ditte poco? / Pare quasi impossibbile che er coco / nun te ciabbia acchiappato! / Chi t’ha visto? — Nessuno... / E er padrone? — Nemmeno... / Allora — dice — armeno / famo metà per uno!».
Gian Antonio Stella