Notizie tratte da: Adele Corradi # Non so se don Lorenzo # Feltrinelli 2012 # pp. 169, euro 14., 9 ottobre 2012
Notizie tratte da: Adele Corradi, Non so se don Lorenzo, Feltrinelli 2012, pp. 169, euro 14.Frammenti di vita «Non si racconta in questo libro la storia di don Milani […] Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia
Notizie tratte da: Adele Corradi, Non so se don Lorenzo, Feltrinelli 2012, pp. 169, euro 14.
Frammenti di vita «Non si racconta in questo libro la storia di don Milani […] Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove. Direi piuttosto che in queste pagine sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi» (Adele Corradi, ex insegnante delle medie che ha lavorato nella scuola di Barbiana con don Milani finché lui non è morto di leucemia, all’età di 44 anni, il 26 giugno 1967).
Primo impatto «Lui al primo impatto non mi fece una buona impressione. Mi aspettavo un tipo rustico, un montanaro, e mi trovavo davanti un tipo che sembrava uscito da un salotto. Per di più aveva in testa un brutto cappello di paglia da contadino a tesa larga (stava facendo scuola nel giardinetto, accanto al pozzo), e sotto il cappello aveva una faccia tonda un po’ gonfia (forse per il cortisone, ma io non lo sapevo) e una lisca nel parlare fastidiosissima. Quando entrammo a casa e si levò il cappello prese un aspetto un po’ più gradevole, e soprattutto dimenticai l’aspetto e la lisca perché era divertentissimo. Prendeva in giro la mia amica, che conosceva bene, e aveva un modo di scherzare che richiedeva in chi gli stava davanti non solo un’uguale dose di senso dell’umorismo, ma anche un’assoluta mancanza di permalosità. In casa mia si scherzava con tutti, anche con gli ospiti, nello stesso identico modo. Mi trovavo perciò come un pesce nell’acqua e non c’è mai stato un momento, in tutti gli anni che ho passato a Barbiana, in cui possa dire di essermi annoiata. Magari si soffriva, ma non ci si annoiava».
Due mesi di vita «Quando conobbi don Lorenzo e la sua scuola, provai subito un grandissimo desiderio di andare lassù perché lassù tutto mi piaceva e siccome la persona che mi ci aveva accompagnato mi aveva fatto sapere, fin dal primo giorno, che i medici avevano detto a don Lorenzo che gli rimanevano solo due o tre mesi di vita, mi scaraventavo a Barbiana ogni volta che avevo una giornata o una serata libera».
Pene «Una volta, quando tentai di parlare non mi dette il tempo di aprir bocca. Con un tono durissimo mi disse: “Non mi racconti le sue pene! Chi si occupa di ragazzi non deve avere pene personali! Le sue pene devono essere quelle dei suoi ragazzi!”. Credo che non si aspettasse la mia reazione. Io infatti, nonostante la sua durezza, trovai bello quello che mi diceva e serenamente gli domandai: “Quando mai le ho raccontato le mie pene?”. Cambiò tono di colpo. Diventò amichevole: “Non le sto facendo un rimprovero,” mi disse subito».
Pena «L’Eda aveva una voce bellissima, di contralto, credo, profonda e intonata. Chiesi che mi cantasse In paradisum deducant te Angeli e lei si mise a cantare. Io ascoltavo incantata da quella voce e da quelle parole “….in tuo adventu suscipiant te Martires…”. Ma don Lorenzo a un tratto bruscamente: “Smetta Eda!” la interruppe… era quasi un grido… Mi voltai stupita. Ma non era arrabbiato: La guardava addolorato. E infatti: “Mi fa pena,” disse, “non capisce… canta senza capire…”».
Da morto 1 «Una volta mi vide copiare una sua lettera (mi pare fosse diretta al Cardinale). Era certamente uno scritto meditato, ma non destinato alla stampa. Mi disse che se dopo la sua morte mi fossi azzardata a pubblicare un suo scritto sarebbe venuto di notte a tirarmi per i piedi, come i classici fantasmi. Naturalmente risi della minaccia ma non del suo desiderio che le sue lettere non fossero pubblicate».
Da morto 2 «Quando gli dissi che, dopo la sua morte, non avrei voluto leggere nulla di quello che sarebbe stato scritto su di lui, osservò che da morto nessuno avrebbe più potuto fargli del male. Io ribattei che legger cose cattive avrebbe fatto male a me viva e mi capì, ma a lui di avere buona o cattiva fama dopo morto sembrava che non gliene importasse proprio niente».
Tartufo «Don Lorenzo faceva sempre festa a tutto quello che portavo perché era gentile, ma io capivo bene che il tartufo gli piaceva perché aveva cambiato vita e abitudini (e forse anche gusti) ma il palato gli era rimasto borghese».
Esami di coscienza «Ora mi succede un po’ meno, ma per molti anni, percorrendo in macchina la via Faentina, a ogni curva trovavo un ricordo. Era la strada che si faceva sempre, andando e tornando da Barbiana a Firenze. Una volta che si tornava appunto da Firenze, don Lorenzo mi raccontava che don Bensi gli aveva chiesto se si ricordava di farsi ogni tanto l’”esame di coscienza” e lui gli aveva risposto che non aveva tempo per la sua coscienza perché doveva occuparsi di quella dei ragazzi. “A furia di esami di coscienza ,” borbottò poi, “trasformano in cura di sé perfino il Cristianesimo!”».
Scelte eroiche «Dissi a don Lorenzo se potevo rimanere a Barbiana, e lui disse: “Farebbe una scelta eroica e io sono un sacerdote e come sacerdote non posso consigliare scelte eroiche!” Ripetei che mi piaceva stare lì e che potevo chiedere un trasferimento alla scuola media più vicina e cercare una stanza presso qualche famiglia della parrocchia. Mi vide decisa e ammise finalmente che la mia presenza poteva essere utile. Prima di morire riconobbe che della mia presenza i ragazzi se n’erano accorti e, chi più chi meno, mi volevano anche bene».
Paure «Da lui e da Carlo ho ricevuto due regali preziosi, mi pare per il mio primo compleanno dopo che mi fui stabilita lassù. Mi regalarono una stufetta elettrica, perché nella stanza che avevo preso in affitto in Padulivo arrivava l’elettricità, e una borsa per l’acqua calda che ho tenuto in mano tutti i giorni d’inverno. Ma erano sempre momenti drammatici quando la riempivo, perché mi faceva fatica cercare l’imbuto. Per l’appunto don Lorenzo aveva una paura fanatica di vedere gente che si faceva male e, proprio perché gli facevano paura, di incidenti ne prevedeva un’infinità, tanti quanti ne prevedeva il mio babbo. Così ogni volta che senza imbuto versavo l’acqua bollente nella borsa lui gridava: “Ora si brucia!”. Anche quando mi mettevo a sedere accanto al suo letto c’era un momento di panico perché la mia era una piccola sedia pieghevole e immancabilmente lui prevedeva che mi sarei schiacciata le dita. Forse davo l’impressione di essere un po’ imbranata, ma la cosa di fondo non gli dava noia, forse anzi lo divertiva perché, per fortuna sua e mia, ormai ero “grande” e non gli toccava educarmi. Come ero, ero».
Scemo «C’era una ragazza che veniva ogni tanto a Barbiana e che a me sembrava innamorata di lui. Quando mi venne fatto di dirlo sosteneva che era impossibile che ci si innamorasse di qualcuno quando non c’era nessuna possibilità di essere ricambiati. A sentirlo, pareva che ci si dovesse innamorare solo quando era “ragionevole” innamorarsi e io alla fine mi domandavo se era scemo o se facesse lo scemo».
Risposte «Don Lorenzo, se un giorno le dessi noia, se le desse noia la mia presenza qui, se fosse un impiccio, che farebbe? Mi manderebbe via? “Certo,” rispose lui, “non sono sposato e sono libero di mandar via di casa chiunque mi dia noia.” Li per lì presi per buona la sua risposta, parlava con tanta sicurezza! Ma ripensandoci ora non credo che l’avrebbe fatto».
Stelle «Grazie a don Lorenzo imparai a riconoscere le Pleiadi e Cassiopea, che fino a quando non sono andata lassù avevo incontrato solo nei versi dei poeti antichi. Ero il primo anno che andavo a Barbiana e non mi ero ancora stabilita lassù, perciò quella notte dormii insieme alla Eda e, siccome la finestra della camera dell’Eda dava sul piazzale della chiesa , all’alba fui svegliata dalla voce di don Lorenzo che sotto la finestra gridava allegra: “Chi non si alza per vedere le stelle non ama né la scuola né i ragazzi”».
Schifo «“Schifosa! Veramente schifosa!” Mi stava dando di schifosa, però mi faceva piacere. Tornavo in quel momento da Firenze ed erano le due del pomeriggio. Arrivando a quell’ora sapevo bene che avrei trovato la tavola sparecchiata, perciò mi ero fermata a mangiare pochi minuti prima a Borgo. E quasi credevo, dicendolo, di far bella figura! Perché don Lorenzo mi aveva chiesto se volevo mettermi a tavola. In campagna si fa sempre quando arriva qualcuno ed è press’a poco l’ora di pranzo. Ma certo nessuno, in campagna, dà di schifoso all’ospite che, per non dar noia, si è fermato a mangiare a pochi passi. Lui invece lo diceva convinto, e si vedeva bene che era davvero schifato. Mi faceva proprio piacere».
Volere bene «Veniva ogni tanto a Barbiana una professoressa che mi pareva una donna veramente straordinaria. Era bravissima come insegnante ed era anche bravissima… in tutto il resto. Si capiva che cucinava bene e volentieri, leggeva tanto, andava spesso al cinema e faceva anche attività politica. “Quella donna riesce a far tutto! Come farà, don Lorenzo a trovare il tempo per fare tante cose?” “Non vuol bene a nessuno!” mi rispose di botto. Era vero! era verissimo! Come avevo fatto a non pensarci? Quante più cose si farebbero se non si volesse bene a nessuno! Anche per questo mi piaceva stare a Barbiana. Perché ogni volta che non ero contenta di me, don Lorenzo trovava sempre la strada per farmi ritrovare la pace. Sempre. Era liberante. Dopo che è morto, questo soprattutto mi è mancato».
Preghiere e urgenze «Don Lorenzo diceva che non dovevamo prendere esempio da lui, che pregava troppo poco: un Padre Nostro la mattina e un’Ave Maria la sera. Erano le sue preghiere, ci disse, e, non so perché, non rammentò la messa. Dovevamo prendere esempio da don Borghi, che sapeva agire e pregare. Ma ai ragazzi sembrava che togliere spazio alle opere per pregare fosse una perdita di tempo e don Lorenzo insisteva a dire che bisognava anche pregare, facendo però attenzione alle circostanze e badando quindi alle urgenze. Se c’era urgenza bisognava agire. Non mi convinceva l’idea delle urgenze, “perché,” dissi dopo qualche minuto di silenzio, “come si fa a conoscere le urgenze se si pensa a tutti gli uomini e a tutte le vicende del mondo!”. Mi spiegavo male, ma don Lorenzo capì e anche lui stette qualche minuto in silenzio. Alla fine, come ancora pensasse fra sé, disse: “Sarà urgente pregare quando a tutti sembrerà importante operare”».
Coerenza «Un giorno si parlò del dovere di essere coerenti, e don Lorenzo dichiarò che secondo lui la coerenza assoluta era un’assurdità e, per di più un’assurdità stupida. Detto da un altro poteva sembrare un discorso “normale”, ma detto da lui, con quel che costava la coerenza a Barbiana, aveva un sapore tutto nuovo. Era quello uno dei tanti momenti in cui mi pareva di capire che non si doveva essere prigionieri di niente, neppure dei “princìpi”».
Paradiso «Quando c’era la nebbia tutta la valle del Mugello spariva. Solo noi lassù, e le cime dell’Appennino di fronte a noi, si rimaneva nel sole. Era in quella situazione che don Lorenzo diceva: “Così sarà quando arriveremo in Paradiso. Lasceremo giù tutta la nebbia e tutto il grigio rimarrà dietro di noi.”
Solitudine abitata «Ho detto una volta che Barbiana era una realtà particolare. Ora mi vien fatto di dire che lassù si viveva “nell’attenzione”. Vivendo lassù si sapeva che era una “solitudine abitata” e chi l’abitava non era distratto, ma attento. E il più attento di tutti era il Priore di Barbiana».
Contadini «“Don Lorenzo,” dissi, ingenua e coscienziosa, appena fui sola con lui, “Paolino non sta attento quando lei legge il giornale. Per tutto il tempo immagina di guidare un motorino”. Don Lorenzo ascoltava, attento e pensieroso, come sempre quando c’era un problema. Ma non lo turbava un problema come quello. “Adele,” rispose con calma, sereno, “io sono qui come un contadino. Un contadino non può avere fretta che una pera maturi”».
«Mai chiavato» «Quando entrai nella camera di don Lorenzo, quella mattina, Giancarlo Pessina, seduto accanto al letto, aveva in mano un foglio con le statistiche e le lacrime agli occhi… perché quando rideva molto gli venivano le lacrime agli occhi. Don Lorenzo disse: “Gli sto dicendo di quando facevo il pittore… c’era una modella che, se gli si domandava ‘conosci il tale?’, rispondeva: ‘Mai chiavato.’ Io osservai che era un linguaggio biblico, perché nella Bibbia “conoscere” vuol dire proprio quello. Poi, pensosa, aggiunsi: “Sarà vero che si conosce una persona andandoci a letto?” “Non lo so, mai chiavato!” rispose».
Cretini «Don Lorenzo dava di cretino o cretina con grande facilità. A quanto pareva, nessuno si sentiva offeso e io non trovavo nulla da ridire quando l’insulto era diretto a un ragazzo».
Fucilate «“Don Lorenzo, se qui vicino venisse a stare un altro prete e i ragazzi incominciassero ad andare da lui invece che venir qui, cosa farebbe lei?” “Farei alle fucilate!” “E se fosse più bravo di lei?” “Farei alle fucilate! I ragazzi son miei! Bravo o ciuco, se me li portasse via, farei alle fucilate!”».
Morire «Era nel letto, supino. Di qua e di là io e l’Eda in piedi. Diceva che gli pareva di morire e si capiva bene, io e l’Eda , che stava tanto male, ma non si sapeva che fare. A un tratto disse: “Mi sembra di essere sospeso per aria in mezzo a due parenti sceme. Non capite. Non capite che fortuna sarebbe per me morire ora, così!”».
Verità «Una mattina, ero in piedi vicino al tavolo e don Lorenzo disse: “Non ho paura”. Di cosa non aveva paura? Mi domandai ascoltandolo senza guardarlo. “Non ho paura di non fare in tempo a dire tutto quello che mi rimane da dire… Non importa che io lo dica. La verità si fa strada da sola».