Gabriele Beccaria, la Stampa 9/10/2012, 9 ottobre 2012
IL NOBEL AI DUE PADRI DELLE CELLULE STAMINALI
Idue premiati hanno subito ringraziato, com’è d’obbligo, ma è il mondo a ringraziare il britannico John B. Gurdon e il giapponese Shinya Yamanaka: il Nobel per la medicina 2012 è per entrambi meritatissimo, perché in tempi diversi e con tecniche differenti hanno scoperto come riprogrammare le cellule adulte, facendole viaggiare indietro nel tempo, e riportandole alla condizione iniziale, quando sono «bambine» e quindi pronte a trasformarsi nel macrocosmo di tessuti e di organi che compongono ogni organismo.
E’ facile capire che gli studi di Gurdon e Yamanaka abbiano riscritto d’un colpo i libri di biologia, ma il fascino universale delle loro scoperte è non meno intenso ed è legato all’impatto sulla vita di ciascuno di noi: svelare i meccanismi di sviluppo delle cosiddette cellule staminali pluripotenti promette infatti di cambiare la logica stessa della medicina, dall’indagine sull’origine delle malattie all’applicazione delle terapie personalizzate, fino alla produzione di farmaci «mirati» e più efficaci. Cureremo finalmente l’Alzheimer? E sarà sconfitto una volta per tutte il cancro?
Dai loro studi - è la risposta - ci si aspetta una nuova era, quella della «medicina rigenerativa», che permetterà, tra l’altro, di creare tessuti e organi di ricambio, dai scintillanti «pacchetti» di neuroni nuovi di zecca fino a cuori e fegati interi, pronti per trapianti senza rigetto. L’unico «ma» è che si dovrà aspettare, perché le meraviglie intraviste in laboratorio si trasferiscano nella quotidianità degli ospedali. E’ significativo che, sebbene i filoni di ricerca si moltiplichino, tutto sia iniziato molto tempo fa, nel 1962 (l’anno di nascita - guarda caso - di Yamanaka), quando Gurdon sostituì il nucleo della cellula uovo di una rana con quello di una cellula adulta, ricavata dall’intestino di un girino. Sembrò un miracolo: inserito nell’ovulo, il nucleo ricevette naturalmente una serie di «istruzioni» che fecero ritornare la cellula allo stadio immaturo. Così il suo sviluppo ripartì da zero, generando un altro girino, un clone.
Passò altro tempo, finché nel 2006 Yamanaka fece scalpore con un balzo ulteriore: invece di entrare nella cellula, ingegnerizzandola, scoprì il cocktail di geni (appena quattro) con cui è possibile produrre la metamorfosi, da adulta a «baby». La battezzò «cellula staminale riprogrammata indotta», suscitando l’entusiasmo generale e anche di quelli che contestano per ragioni etiche la manipolazione delle staminali tratte dagli embrioni.
Adesso, esattamente mezzo secolo dopo la pionieristica intuizione di Gurdon, gli esperimenti per tramutare in realtà le promesse racchiuse nelle ricerche dei due neo-Nobel sono in pieno svolgimento in tutto il mondo (anche in Italia, come racconta Angelo Vescovi nell’intervista qui sotto). «La mia speranza - ha dichiarato ieri Yamanaka - è riuscire a portare questi studi alla pratica clinica. Ho dovuto cambiare la mia carriera, passando dalla clinica al laboratorio, ma resto un medico e il mio obiettivo è quello di aiutare i pazienti, trasferendo a loro la tecnologia delle staminali».
Quanto ci vorrà? Né l’uno né l’altro Nobel, al momento, sa stilare una previsione attendibile.