
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
In Afghanistan è morto un altro soldato italiano. Si chiamava Luca Sanna, aveva 32 anni, era un alpino, caporalmaggiore, originario di Samugheo, in Sardegna, e residente adesso a Lusevera in provincia di Udine. S’era sposato da quattro mesi. La moglie, Daniela Mura, ha appreso la notizia in casa dei genitori. Con Sanna è stato ferito un altro nostro soldato, in modo serio. È ricoverato presso l’ospedale Role 2 di Camp Arena, ad Herat. Sarà trasferito non appena le sue condizioni lo renderanno possibile.
• Quanti sono, a questo punto, i soldati italiani morti in Afghanistan dall’inizio della guerra?
Trentasei. Si sperava che durante l’inverno sarebbe tornata un po’ di pace. Invece non è nevicato e questo ha permesso ai talebani di continuare la loro offensiva. Quattro alpini saltati per aria a ottobre, l’ultimo dell’anno la morte del caporalmaggiore Matteo Miotto, ieri Sanna.
• Com’è andata stavolta?
Le riferisco la versione fornita dal ministro della Difesa Ignazio La Russa. «I fatti sono avvenuti alle 12.05, ora italiana, in un avamposto nella zona di Bala Murghab». Il caporalmaggiore Luca Sanna e un suo commilitone «sono stati colpiti da un uomo che indossava un’uniforme afgana e che si è avvicinato loro con uno stratagemma, forse fingendo di avere problemi all’arma». Dopo aver centrato Sanna alla testa e l’altro militare alla spalla, costui «si è allontanato. Per questo – è sempre La Russa che parla – non è possibile dire ora con certezza se fosse un terrorista che indossava una divisa o un vero e proprio infiltrato nell’esercito afgano. In un caso o nell’altro non si può parlare di fuoco amico, perché è stato sicuramente fuoco nemico. Una notizia che arriva nel giorno del cambio della guardia alla guida delle forze armate e che turba questa giornata in maniera dolorosa». L’accenno al “fuoco amico” serve a smentire voci che s’erano diffuse all’inizio, e cioè che il nostro militare fosse stato ucciso, per errore, dai suoi compagni. Una versione pericolosa, perché avrebbe significato che anche stavolta, come nel caso di Miotto il 31 dicembre, la morte sarebbe arrivata non per sfortuna, ma a seguito di una battaglia. E i nostri soldati non stanno lì per far battaglie, ma per favorire la pace e istruire le milizie afgane. Quando parla del “cambio della guardia al vertice delle forze armate”, La Russa si riferisce al fatto che proprio il 17 gennaio il generale Vincenzo Camporini – un ufficiale che non andava troppo d’accordo col ministro – ha lasciato il posto al generale Biagio Abrate, alpino, cuneese e già comandante della Brigata Multinazionale Ovest in Kosovo.
• Dove si trova questa Bala Murghab?
Nel Gulistan, una valle molto pericolosa che i talebani invasero già nel 2005 e nel 2007. Non siamo lontani dal punto in cui è stato ucciso Miotto. Il generale Bellacicco, nei giorni di Miotto, aveva previsto che ci avrebbero attaccato ancora. E infatti prima di ieri avevamo subito un’altra incursione, il 12 gennaio, senza vittime. Ieri La Russa ha detto: «Per la prima volta non siamo più dentro le basi fortificate ma miriamo a controllare il territorio, e a fare in modo che la popolazione afgana possa rientrare nei propri villaggi. Il che significa avere avamposti di pochi metri quadrati difesi dai militari italiani e dai militari afgani e quindi più facilmente soggetti ad attacchi, sparatorie e conflitti con insurgents».
• Se siamo lì per una missione di pace, perché ci hanno spostato in una zona così a rischio?
Non siamo lì per una missione di pace. E neanche per una missione di guerra. Operiamo con istruzioni, per dir così, grigie: non attacchiamo, ma abbiamo il dovere di difenderci. Fino a che punto possiamo spingere la prevenzione delle incursioni altrui, che sarebbe un modo per attaccare a nostra volta? Mistero. Zona grigia. Avrà notato che cerco di rispondere con quello che dice La Russa. Non sto sul posto, non posso riferire avendo visto con i miei occhi. Da laggiù ci dicono però che, anche in un’area tanto pericolosa, si può, da militari, lavorare per la pace. A Bakwa, cittadina all’ingresso della valle, 600 famiglie, fuggite per evitare i talebani, sono rientrate a casa. Nel villaggio di Golestan, gli uomini del Genio hanno trasportato ghiaia per pavimentare il bazar locale, immerso in una nebbia di polvere d’estate e in una fanga acquitrinosa d’inverno.
• Ho notato che sui siti, ieri pomeriggio, la morte di Sanna era messa al sesto o al settimo posto, dopo il caso Ruby e parecchie altre notizie.
Sì, deve esseresene accorto anche il ministro. Ha detto: «Non voglio che l’opinione pubblica si abitui a questi fatti luttuosi. Occorre interrogarsi sui modi con cui le missioni devono essere condotte». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/1/2011]