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 2011  gennaio 19 Mercoledì calendario

L’ANNUNCIO DA JURASSIC PARK: «PRONTI A CLONARE IL MAMMUT» —

Poco importa se le probabilità di vedere un mammut in carne e ossa camminare, magari nel recinto di uno zoo, corrispondono (se va bene) all’uno per cento. Akira Iritani, professore emerito dell’università di Kyoto, è convinto di riportare in vita un animale estinto circa 8 mila anni fa. Come? Clonandolo. E in tempi relativamente stretti: cinque o sei anni. Un mammut, uno vero, di quelli che siamo abituati a vedere solo disegnati sui libri di scienze. L’idea della clonazione non è nuovissima. Tentativi sono stati effettuati sin dagli anni 70 quando fu scoperto un giovane esemplare congelato, chiamato Dima (1977). Tentativi tutti falliti. Questa volta però l’équipe guidata da Iritani è convinta di poter risolvere con la tecnica il problema dei problemi: estrarre il dna dalle cellule congelate. Iritani lo ha spiegato al Daily Telegraph, dopo che alla notizia aveva dato molto risalto il giapponese Yomiuri Shimbu. I ricercatori nipponici hanno tra le mani il tessuto congelato ottenuto da un animale preservato in un laboratorio russo. La tecnica è quella consolidata: isolare il nucleo di una cellula di mammut e inserirlo nell’ovocita di un elefante per far sviluppare un embrione che poi sarà trasferito nell’utero di un’elefantessa. A questo punto, nella più ottimistica delle ipotesi, l’elefantessa dovrebbe dare alla luce il baby mammut. Carlo Alberto Redi, professore di biologia a Pavia, tra i massimi esperti nazionali di clonazione animale, conosce bene l’équipe giapponese. Soprattutto il pioniere dei tentativi di clonazione, Riuzo Yanaghimaci. Questo scienziato, incrociato in uno dei tanti congressi sugli spermatozoi e con il quale Redi dice di «averne fatte di tutti i colori negli anni 90» (in termini di clonazione, s’intende), aveva cercato di recuperare i nuclei delle cellule della pelle e tessuto muscolare da mammut congelati nel ghiaccio siberiano. I tentativi erano tutti naufragati per una semplice ragione. Spiega Redi: «Il problema è lo stato di conservazione del muscolo» . Questo è valso per Yanaghimaci così come per Teruhiko Wakayama, suo allievo, del centro di Yokoama, lo scienziato che nel 2008 è riuscito a creare cloni di topi morti e congelati. E vale oggi per Iritani. Il successo del nuovo tentativo dipende quindi dalle ricerche di altri scienziati. E dalla fortuna. Dice Iritani: «Abbiamo bisogno solo di un buon tessuto molle di mammut congelato» . Che non si trova al supermarket. Da cosa dipende la bontà del tessuto? «Da molti fattori» , spiega Redi. «Per esempio da come è morto l’animale (morte violenta), da quanto tempo ci ha messo a congelarsi e se durante i millenni ha subito processi di congelamento e scongelamento» . Le probabilità di vedere un piccolo mammut camminare non sono molte: «Non più dell’uno per cento. Le rese sono bassissime, si tratta di una clonazione ibrida, cioè non della stessa specie» . Probabilmente l’ottimismo di Iritani ha lo scopo di trovare uno sponsor. La speranza è che lo studio del cucciolo-mammut possa fare luce sul perché le creature si estinsero circa diecimila anni fa. Sempre che l’elefantessa non abbia un aborto spontaneo: probabilità tutt’altro che remota.
Agostino Gramigna