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 2011  gennaio 19 Mercoledì calendario

L’INCONTRO-SCONTRO CON L’OCCIDENTE. QUANDO IL CELESTE IMPERO CI SNOBBAVA

Anche se la «leggendaria» interpretazione dello storico (e comandante) inglese Gavin Menzies (1421— La Cina scopre l’America, Carocci 2003) fosse vera, e dunque i cinesi fossero giunti sulle coste americane ben settanta anni prima di Cristoforo Colombo, ciò sarebbe un episodio della storia ma non farebbe Storia. Delle cento navi e dei 20 mila uomini inviati dall’imperatore Zhu Di e comandati dall’ammiraglio Zheng He non rimane ricordo che vada al di là di una mappa geografica cinese dell’America del 1763, fedele riproduzione di quella quattrocentesca. Ciò che per gli europei fu la scoperta del Nuovo Mondo, la rivoluzione che cambiò le loro conoscenze, il loro regime alimentare, aprendogli le porte della diversità culturale, e creando l’uomo moderno, per la Cina fu come se nulla fosse accaduto. Solo in anni recenti la Repubblica popolare cinese ha cercato di rivendicare la paternità della «scoperta» dedicando a Zheng He una mostra e sponsorizzandola nel mondo.
Una forma di amnesia piuttosto ricorrente nella storia della civiltà cinese. Alla Cina antica si devono centinaia di invenzioni scientifiche e tecniche. Basti ricordare il sistema a fusi multipli per la torcitura della seta (1313 d. C.), il telaio allungabile (I sec. d. C.), la stampa su carta con caratteri mobili in ceramica (XI sec. d. C.: una lista lunghissima è stilata dell’eccentrico sinologo e biochimico Joseph Needham, 1900-1995, in Science and civilisation in China). Ma le macchine tessili, i torchi tipografici e ogni altra invenzione compirono altrove le loro rivoluzioni.
Immobilismo, chiusura, ostilità e disinteresse verso lo straniero sono i caratteri che contrassegnarono il comportamento dei cinesi verso l’esotico e il diverso. Mentre gli occidentali ripetutamente percorrevano la via della seta attratti dalle possibilità commerciali offerte dalle rare e fini produzioni cinesi, o per- vasi dal desiderio di convertire la Cina al cristianesimo, i cinesi restavano ben radicati nel loro Paese. Missionari cattolici, e molto più tardi protestanti — questi ultimi solo dopo aver superato la contraddizione implicita nel voler convertire coloro che non erano stati predestinati da Dio— misero in contatto Occidente e Oriente, facendo conoscere agli europei sia la Cina che quelle Americhe che Colombo aveva trovato casualmente mentre cercava nuove vie per raggiungerla. Spostandosi da un continente all’altro, i missionari elaborarono riflessioni e descrizioni e discussero le prime teorie razziali che riservarono il posto privilegiato ai cinesi e ai giapponesi, dotati di leggi, di un governo stabile, di libri e monumenti che li rendevano superiori ai «barbari e selvaggi» del Nuovo Mondo. Mentre il ginseng o le porcellane cinesi invadevano il mondo occidentale, l’imperatore cinese Qianlong (1711-1799) si chiedeva perché mai dovesse commerciare con l’Occidente quando già possedeva tutto ciò che gli occorreva.
Nel Nuovo Mondo i cinesi giunsero molto più tardi sbarcando, alla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, dal piroscafo Eagle. Era l’inizio della prima grande emigrazione cinese, dell’arrivo in massa di disperati che dalla Cina cercavano fortuna in America. Subito furono chiamati coolies, una parola di origine coloniale a ricordare che il loro sfruttamento era come quello degli schiavi. Gli Stati Uniti accolsero la prima emigrazione che diede origine, a San Francisco, alla più grande Chinatown dell’Occidente. Ma iniziarono anche una politica di controllo e contenimento: nel 1859 venne istituita la prima scuola per cinesi e qualche anno dopo, nel 1862, la prima tassa anti coolies (due dollari e mezzo pro capite all’anno per ogni individuo di razza mongolide). Anche se non mancava chi esprimeva empatia verso i cinesi, come il giovanissimo Mark Twain nel suo Treaty with China dell’agosto del 1868, i provvedimenti proseguirono sulla strada della ghettizzazione: nel 1880 furono dichiarati fuorilegge i matrimoni misti; nel 1882 fu bloccata la loro emigrazione. I cinesi furono spesso considerati fonte di epidemie e quando, nel 1899, a San Francisco scoppiò la peste bubbonica, tra le misure prese vi fu la quarantena di Chinatown, preambolo della creazione nel 1910 del centro di quarantena obbligatoria per i cinesi nell’isolotto di Angel Island di fronte a Alcatraz. E il sospetto continuò per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, espressione della politica statunitense nei confronti della Repubblica popolare cinese, di cui un discendente, Steven Chu, siede ora tra i ministri scelti da Barack Obama, e i cui cittadini invadono i campus universitari americani o occupano i posti chiave a Silicon Valley.
Per l’Occidente i cinesi erano il «pericolo giallo» , e non solo perché erano confusi con i giapponesi di Pearl Harbor o con le ripetute epidemie che arrivavano dall’Oriente. Gli stessi cinesi cominciarono, su influsso delle teorie razziali occidentali, a definirsi gialli e classificarono per la prima volta anche gli occidentali, non più genericamente «barbari» — come ancora scriveva nel 1793 l’imperatore Qianlong, convinto di essere il capo del Regno di Mezzo, ossia il centro del mondo — ma, secondo il colore della pelle, in «diavoli bianchi» e «diavoli neri» , una divisione che non cancellava la consapevolezza che i primi erano i «dominatori» e i secondi gli «schiavi» , mentre loro, «i gialli» , non avevano nessun rapporto con i «diavoli» .
Oggi la Grande Muraglia attrae più turisti statunitensi dei grandi centri del Rinascimento italiano; presto il 221 a. C., che segna la vittoria di Qin, sarà familiare al mondo come le date del 1776 o del 1789 e l’imperatore Qin Shihuang (quello delle statue di terracotta, per intenderci) sarà noto al pubblico occidentale al pari di Napoleone o di George Washington. Tutto questo sarà il frutto di una strategia pianificata. La Repubblica popolare cinese non vuole perdere la sua battaglia culturale: i suoi numerosi istituti culturali nel mondo, gli investimenti nella diffusione della sua cultura ne sono una viva e attiva testimonianza. La Grande Muraglia è la più visitata del mondo, ma non ancora la più amata e neppure dotata dello spirito carismatico della statua della libertà, né il premio Confucio può ancora competere con il Nobel per la pace. La «Chimerica» , avventura che vorrebbe fondere Cina e America, non è ancora veramente iniziata e dal punto di vista culturale è ancora tutta da giocare.
Michela Catto