Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 19/1/2011, 19 gennaio 2011
UN NOBEL DI TROPPO
Chissà se Barack Obama, ricevendo oggi alla Casa Bianca il presidente cinese Hu Jintao, gli mostrerà il Nobel per la Pace vinto nel 2009, forse prima di meritarselo. Piace pensarlo, anche se probabilmente non avverrà: nessun portavoce, del resto, avalla questa ipotesi. Per Obama sarebbe un modo di guadagnarsi un po’ del premio già ricevuto: un modo per contestare al suo ospite il trattamento riservato a Liu Xiaobo, dissidente cinese imprigionato, Nobel per la Pace 2010 cui è stato impedito di recarsi a Oslo a ritirare il riconoscimento. E un modo per evocare un convitato di pietra di tutti gli incontri Usa-Cina, il Dalai Lama, Nobel per la Pace 1989, motivo spesso di tensione fra Washington e Pechino perchè la sua figura evoca l’indipendenza del Tibet e la libertà religiosa. Ma l’Amministrazione americana sembra collocare la visita di Hu negli Stati Uniti, la prima da quando Obama è presidente, in un’ottica più concreta e prammatica, meno idealista e ideologica: Usa e Cina rifanno le prove di G2 già tentate almeno a tre riprese negli ultimi 18 mesi, a margine di Vertici internazionali multilaterali o quando, nel novembre 2009, Barack Obama andò a Pechino.
IL CONTESTO dell’incontro lo conferma: una cena privata alla Casa Bianca, ieri sera, in un gruppo ristretto. E, oggi, un’intera giornata di colloqui politici e poi una cena di Stato, evento raro nell’etichetta a stelle e strisce. Ma, nonostante l’intensità dei contatti – è l’ottava volta in due anni che Obama e Hu si vedono – le relazioni tra Washington e Pechino non vanno in linea retta: vi sono incidenti di percorso, arretramenti, incomprensioni. Un anno fa, di questi tempi, i rapporti tra Usa e Cina erano, probabilmente, al punto più basso della presidenza Obama : il Congresso americano aveva autorizzato una vendita di armi a Taiwan – una sorta di rituale che si ripete ogni 12 mesi – e il presidente premio Nobel aveva sfidato le diffide cinesi accogliendo il Premio Nobel Dalai Lama. Se le beghe fossero tutte lì, il G2 potrebbe anche funzionare, in un mondo globalizzato alla ricerca di una governance mondiale credibile, mai garantita dall’Onu e dal Consiglio di Sicurezza, non più impersonata dal G8 e (non ancora?) interpretata dal G20, un gruppo giovane che, però, non cresce abbastanza in fretta. Ma su economia, politica, diritti dell’uomo, le incomprensioni non mancano. Ai giornalisti americani, Hu – prima di partire – ha detto quasi in tono di sfida: “Il sistema monetario internazionale basato sul dollaro è un prodotto del passato... In Corea, vi sono segnali di distensione tra Nord e Sud... Non si può negare che fra di noi vi siano problemi sensibili e divergenze”. E americani e cinesi le snocciolano: la debolezza artificiale dello yuan, che favorisce l’export cinese e altera i rapporti di forze con il dollaro e l’euro; i contenziosi commerciali; persino il conflitto sulle terre rare; la libertà di Internet, la cyberguerra a Google e i contrasti sul copyright; l’aggressività della Corea del Nord, in qualche modo “pilotata” da Pechino; il “build up” militare cinese, con la recente acquisizione di un caccia invisibile; le rivalità nel Pacifico e in Africa. “Speriamo che la missione del presidente – dicono a Pechino – rafforzi il dialogo e la reciproca fiducia tra le due Nazioni”. C’è l’impegno a migliorare i rapporti bilaterali che “nel bene o nel male, condizionano il Mondo in quest’inizio di XXI Secolo”, scrive Francesco Sisci.
MA I CINESI ci credono poco: più di uno su due ne denuncia il deterioramento nell’ultimo anno. Hu resterà in America quattro giorni: dopo Washington, andrà a Chicago, la città di Obama, per incontri d’affari. Secondo media cinesi, la visita potrebbe condurre alla firma di contratti nei settori aeronautico – vendita di Boeing a compagnie cinesi – ferroviario, energetico, ambientale, culturale. Un fatto nuovo, nella galleria dei contatti Obama-Hu, è la forza politica del presidente americano che, dopo lo smacco del voto di Midterm del 2 novembre, continua a risalire nei sondaggi: Abc e Cnn gli attribuiscono il tasso di gradimento più alto da dieci mesi a questa parte, rispettivamente 53% e 54%. Si direbbe che la sconfitta, ma soprattutto la strage di Tucson (frutto, anche, del clima d’animosità alimentato dall’opposizione qualunquista del Tea Party), hanno restituito grinta e credibilità all’Amministrazione democratica.