Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 19/1/2011, 19 gennaio 2011
SUL CLUB TRIPLA A L’OMBRA DELLE DUE VELOCITÀ
Un incontro occasionale? O l’inizio di una relazione stabile? Solleva questi interrogativi la riunione di lunedì tra i paesi virtuosi di Eurolandia, "quelli con la tripla-A", il voto più alto delle agenzie di rating: Germania, Francia, Finlandia, Austria Lussemburgo e Olanda.
Non può essere altrimenti, dopo tanto parlare di Europa a due velocità, di un euro-sud da affiancare a un euro-nord e persino di una spaccatura di Eurolandia. Anche se il meeting non ha prodotto, nell’immediato, grandi risultati e ogni decisione è stata rinviata a marzo. L’incontro è sembrato più che altro l’occasione per esprimere qualche preoccupazione e dare qualche rassicurazione sui rating, e per lanciare qualche messaggio agli elettori.
Alcuni analisti hanno tratto conclusioni ottimistiche. «Sembra che un’estensione delle capacità di offrire prestiti dell’Efsf fino a 750 miliardi di euro sia in marcia: il fondo sarebbe così grande abbastanza per finanziare per tre anni il debito di Portogallo e Spagna, ma non per Belgio e Italia in una situazione di emergenza», ha commentato Jürgen Michels di Citigroup.
I contorni politici della vicenda sono però più complessi. L’evidenza spinge a parlare di una riunione puramente tecnica. La settimana scorsa è però emerso qualcosa di più strutturato: la volontà della Germania di inserire ogni decisione sul fondo di salvataggio in una riforma complessiva che comprenda nuove regole fiscali e un maggior coordinamento delle politiche. Un progetto non certo escluso dalle indicazioni poi date dal commissario Ue per gli Affari economici e monetari Olli Rehn nel descrivere i lavori in corso.
Quanta strada farà questa volontà di riforma dipenderà allora dagli equilibri politici. Per ora il punto di partenza sembra davvero occasionale. «C’è un incentivo a creare una forma di coordinamento fra questi paesi perché si vuole convincere i mercati, anche attraverso le agenzie che dovranno dare il rating alle emissioni del fondo di salvataggio. Questi bond dovranno avere un voto e si teme che i mercati possano non fidarsi: i finanziatori di ultima istanza sarebbero in parte gli stessi paesi che devono essere aiutati», spiega Franco Bruni, docente di economia monetaria e internazionale alla Bocconi. In questo senso, quindi, il lavoro che stanno facendo i sei paesi «può essere utile per dare al mercato un messaggio che faciliti la partenza di queste emissioni attraverso l’impegno speciale di quei paesi su cui non ci sono dubbi».
Poi però ci sono tutte le condizioni perché scatti il desiderio di andare oltre. E questo complica le cose. «Non vorrei che si andasse troppo in là - aggiunge Bruni - verso un’ulteriore segmentazione dell’Unione e non è il caso: se si crea anche il gruppo dei "primi della classe", non si finisce più. Senza contare che in questa idea ci sarebbe molta ipocrisia: la Germania va molto bene; ma le finanze pubbliche della Francia non mi rassicurano. Per quale ragione dovrebbe far parte di questo club?». Il consiglio è allora di dimenticare "ufficialmente" le agenzie di rating, per evitare i mille problemi che hanno creato: «Non ci devono essere azioni delle autorità parametrati su questi voti».
È importante allora capire se e quando si può dare un segno positivo al coordinamento di alcune economie. «L’idea di un nucleo duro in sé potrebbe avere un significato solo se operasse come locomotiva degli altri paesi. Se così non è, e ci sono fondati motivi perché così non sia, è evidente che si rischia di fatto di spaccare il progetto europeo», spiega Stefano Zamagni dell’Università di Bologna: «Se questo sottogruppo rivendicasse per sé regole di bilancio e di aggiustamento strutturale diverse da quelle di altri paesi, questo significherebbe la fine del progetto unitario; se invece la saggezza dei governanti fosse quella di fungere da traino attraverso un meccanismo di emulazione e di consentire ai paesi, tra cui il nostro, che per un motivo o un altro non hanno ricevuto la tripla A, di raggiungerla nel tempo, allora la cosa sarebbe positiva».
Quella che occorre è chiarezza: quei paesi devono spiegare, dice Zamagni, le motivazioni della loro leadership politica e civile «e non semplicemente dare assicurazioni di comodo»; e indicare un «sentiero di transizione dal vecchio equilibrio a uno nuovo». Non sarebbe male, poi, se spiegassero anche, conclude, «perché finora non hanno operato su Bruxelles per realizzare questa politica comune».