Romeo Orlandi, Il Riformista 19/1/2011, 19 gennaio 2011
Addio al mitico monolite cinese Anche Hu Jintao a casa ha i suoi guai - La Cina che Hu Jintao conduce alla Casa Bianca è un paese che ha sviluppato complessità, antagonismi, differenze sociali
Addio al mitico monolite cinese Anche Hu Jintao a casa ha i suoi guai - La Cina che Hu Jintao conduce alla Casa Bianca è un paese che ha sviluppato complessità, antagonismi, differenze sociali. Eppure la sua percezione prevalente è ancora quella dell’Ufficio Politico della liturgia comunista: nessuna concessione all’immagine, determinazione fino alla freddezza, controllo dei sudditi, raggiungimento degli obiettivi. Un paese serio fino alla severità, poco divertente eppure degno di rispetto. Tuttavia, questa foto è sbiadita e non più convincente. Le trasformazioni hanno attraversato il Regno di Mezzo. Se una rivoluzione è avvenuta, lo ha fatto senza spargimento di sangue. Uno spostamento verso destra dell’asse politico – così forte da valicare le etichette – ha avuto effetti più dirompenti di anni di sommosse durante la Rivoluzione Culturale. Oggi il paese è profondamente diverso, non solo economicamente. Viene accusato di reprimere i diritti umani, eppure non è mai stato così prospero e libero. Non raggiunge ovviamente ancora gli standard occidentali ed il parlamentarismo è ancora rinviato sine die. Ma la Cina non ha mai conosciuto libertà e democrazia come intese nelle società liberali. Il progresso, la tecnologia, l’apertura internazionale hanno guidato una trasformazione non ancora dell’assetto politico, ma almeno di quello sociale. Sono i “germogli di società civile” che fioriscono nel paese: giornali, associazioni, gruppi di pressione. Vengono tollerati e talvolta incoraggiati, purché non si trasformino in dissenso organizzato. Questi percorsi sono la spia di fratture nel monolitismo. Esponendosi alla globalizzazione il paese ha incrinato la sua leggendaria unità, ha messo in discussione i riferimenti collettivi. Ora gli interessi tendono a divergere. Le imprese statali contano sulla protezione della dirigenza. Richiedono la tutela per firmare accordi internazionali, per mantenere un rapporto preferenziale con le banche, per non dover licenziare. Gli esportatori insistono per un renmimbi debole, incoraggiati dalla vecchia guardia che teme la disoccupazione e l’instabilità. Al contrario, gli innovatori ambiscono allo sviluppo del mercato interno. Invocano un aumento dei consumi e vogliono uscire da una logica quantitativa dell’economia cinese. Richiedono un’economia più dinamica: investimenti all’estero, rafforzamento delle Borse, convertibilità del renminbi. Pensano che identificare la Cina come “fabbrica del mondo” sia ormai svantaggioso, un puro regalo alle multinazionali che intendono delocalizzare. Gli speculatori, aiutati dalle amministrazioni locali, tendono a lottizzare e costruire, intercettando i flussi statali, mentre il governo è in guardia contro lo scoppio delle bolle immobiliari. Infine, i divari tra la costa più ricca e l’arretratezza dell’entroterra, tra i contadini ed i cittadini non si riducono perché lasciati alla sola iniziativa dell’esecutivo. Hu Jintao rappresenta la necessità delle mediazioni. Può apparire un uomo d’apparato, ma è questo il suo compito. Non ha il carisma di Mao o la visione di Deng, ma non gli viene richiesto di essere un timoniere od un architetto della nuova Cina. Deve vigilare affinché le contraddizioni del paese non diventino lacerazioni insanabili. Interpreta le istanze dei militari che vogliono armamenti più sofisticati, degli imprenditori refrattari alle regole, dei cittadini che richiedono maggiori tutela dal welfare e sui luoghi di lavoro. Il presidente deve gestire situazioni complesse e talvolta conflittuali, muovendosi nell’inesperienza del dubbio piuttosto che nella palingenesi del sol dell’avvenire. Learning by doing, imparare facendo, è la stella polare del suo partito. La cornice esterna è ugualmente irta di insidie: i vincoli ambientali, la scarsità energetica, la riottosità dei paesi vicini che blandiscono la Cina ma ne temono l’egemonia asiatica. Questa inedita matassa è ora al cospetto della prima grande potenza. Non chiede più investimenti ma partnership, esige rispetto ma i muscoli che mostra sono solo economici. I rapporti con gli Stati Uniti sono la tessera chiave di un puzzle complicato, obiettivo ineludibile per una paese che vuole continuare a progredire senza scossoni. Questa è l’ambizione che Hu esporrà alla Casa Bianca. La novità del vertice è che Obama si augura che sia soddisfatta. Non ha tradito il suo mandato; sa invece bene che solo con una Cina forte può negoziare al meglio i risultati per il suo paese.