Isidoro Trovato, Corriere della Sera 19/01/2011, 19 gennaio 2011
GLI SCIVOLONI DEGLI AVVOCATI SULL’ITALIANO —
Chi non sa leggere non sa scrivere. E raramente sa pensare. È partendo da questo sillogismo che la Fondazione del Consiglio nazionale forense ha creato un progetto da affidare alla Scuola superiore dell’avvocatura: «Libri per ragionare. Libri per sopravvivere» . Da anni sentiamo di concorsi per laureati pieni di errori di sintassi, grammatica e morfologia, fenomeno molto accentuato anche durante le prove scritte all’esame di Stato per l’avvocatura. Il problema è generalizzato: secondo il Centro europeo dell’educazione 8 laureati su 100 hanno gravi problemi di scrittura, 25 su 100 rischiano di regredire nell’uso della lingua, 21 su 100 non vanno oltre un livello minimo di comprensione nella lettura di un testo. Secondo l’Istat, tra i laureati, uno su tre non possiede più di cento libri (che sono all’incirca quelli usati durante il percorso di studi). In un simile contesto, gli avvocati hanno deciso di fare qualcosa: un progetto di lettura nelle 79 Scuole forensi che preparano gli aspiranti avvocati, categoria che, forse, più di altre ha accusato l’impoverirsi della lingua. Dall’Azzeccagarbugli manzoniano in poi gli avvocati non incarnano il modello di scrittura brillante. E già qualche anno fa la linguista Mortara Garavelli (nel suo libro «Le parole e la giustizia» ) accusava il linguaggio degli avvocati di «inutile bruttezza» a causa di uno stile infarcito di anticaglie, burocratismi e di incomprensibili latinismi di origine medievale che si leggono ancora nelle comparse e nelle s e n -tenze. Ma le prospettive future, secondo i linguisti, sono persino peggiori: l’italiano corrente è sempre più banale, monotono, appiattito sul linguaggio televisivo e informatico. E per correre ai ripari la Scuola superiore dell’avvocatura non ha «badato a spese» : hanno chiamato in causa Umberto Eco e Italo Calvino, John Kennedy e Schopenhauer, convinti che sia la lettura a far sì che l’avvocato non rimanga solo un tecnico delle aule giudiziarie ma debba «misurarsi con un mondo di valori, cercando nella cultura e nell’etica la propria indipendenza professionale» . Il progetto prevede sei aree tematiche in cui vengono proposti testi coerenti e di largo respiro: si analizzeranno i mutamenti del sistema del diritto per effetto della globalizzazione (basandosi su testi come «No Logo» di Klein e «I mercanti del diritto» di Dezalay); il rapporto tra linguaggio e conoscenza (ricorrendo a Calvino, Eco e De Mauro); la capacità di applicare e interpretare le leggi (spaziando da Zagrebelsky a Schopenhauer). E poi non poteva mancare il tema della deontologia professionale citando casi (anche letterari) come quelli di Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli. Infine un viaggio alle radici del pensiero giuridico e delle tecniche processuali fino ai nostri giorni (dall’ «Antigone» di Sofocle alle «Lettere dalla mia Birmania» di San Suu Kyi). E se è vero ciò che sosteneva Cicerone (che di avvocati se ne intendeva), che «una stanza senza libri è come un corpo senza anima» , questo progetto proverà a riempire le aule. Di libri e di anime.
Isidoro Trovato