Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 19/01/2011, 19 gennaio 2011
QUEL TORMENTO LUNGO 35 ANNI. IL KILLER CHE RICORDA DOSTOEVSKIJ
Non è mai troppo tardi, per pentirsi. E nel pentimento bisognerà sempre e comunque riconoscere una nobiltà d’animo (ritrovata chissà come) che finisce per attenuare la colpa, senza cancellarla. Certo, non si può cancellare la colpa di un omicidio, come quello commesso il 27 agosto 1975 a piazza Armerina da Aldo Consoli. Il quale strangolò l’anziana vicina di casa dopo essere stato sorpreso (da lei) a frugare nei cassetti della sua camera da letto, dove l’omicida entrò passando da un terrazzo per portare via gioielli e contanti. Consoli aveva 22 anni e quella sera cominciò per lui una lunga carriera criminale, con tre altri omicidi, commessi a Roma e a Milano sempre a scopo di rapina (e di vendetta). Si guadagnò sul campo 18 anni di carcere, che sta ancora scontando, ma per il primo delitto, quello di cui fu vittima l’ottantatreenne Irene Sanalitro, riuscì a farla franca, perché la giustizia, pur sospettando di lui, non trovò prove sufficienti per incastrarlo. Solo ora, dopo la bellezza di trentacinque anni, Consoli ha confessato. Non è mai troppo tardi. Il tempo è la benzina in cui brucia il rimorso e questa volta ce n’è voluta parecchia. Trentacinque anni, quasi una vita. Con una similitudine lugubre, Baudelaire definì il rimorso come un verme che rode il cadavere fino a scorticarlo. E altrove, con un’analogia meno noir, come il bruco che mangia il cuore della quercia. Nel caso di Consoli, c’è un’immagine-bruco che lavora nel tempo dentro la sua coscienza (incoscienza): è quella del rosario che la sua vittima stringeva tra le mani mentre lui la strangolava. È questa l’istantanea venuta fuori come un antico rospo insieme alla sua confessione. Il rimorso trova imprevedibili epifanie in cui incarnarsi. Chissà se Consoli ha rivisto la stanza del delitto, nella fotografia in bianco e nero scattata dalla polizia nei giorni delle prime indagini: una camera ottocentesca, elegante, i soffitti alti, un lettone dalle lenzuola bianchissime e dai grandi cuscini, la testiera monumentale di legno sovrastata da un quadro enorme, la specchiera in fondo, sopra il comò, le mattonelle antiche del pavimento. Un’idea di dignitosa sobrietà. Per Carlo Emilio Gadda, lo scrittore italiano più lacerato dal senso di colpa («Nella mia vita ho conosciuto in modo terribile i rimorsi...» ), è lo spettro della madre morta, che assilla i sogni di Gonzalo, il figlio protagonista della Cognizione del dolore. In realtà, sulle lacerazioni del rimorso-pentimento gli scrittori hanno costruito capolavori, e non si può dimenticare che la Divina commedia si regge proprio sull’esigenza del suo autore di espiare i propri peccati intraprendendo un viaggio purificatore nell’oltretomba. Intendiamoci, è difficile pensare ad Aldo Consoli — con il cappellaccio che gli si vede in testa nella foto —, come a un Raskolnikov in salsa sicula. Ma chi può dirlo? Bisognerebbe saperne di più del processo interiore che l’ha spinto a confessare quel lontano omicidio, quando avrebbe potuto (comodamente?) tenerselo per sé. Vi ricordate la falsa confessione, in punto di morte, dell’impenitente ser Ciappelletto boccaccesco, che si fece beffe di tutti al punto da essere salutato come un santo? Ci vorrebbe Dostoevskij. Siamo proprio sicuri che i personaggi cui si ispirò lo scrittore russo avevano, in natura, qualcosa di più nobilmente tragico del semplice Consoli? Certo, Delitto e castigo appare come la massima rappresentazione letteraria, in chiave religiosa, del travaglio che comporta un autentico pentimento: anche Raskolnikov uccide (una vecchia usuraia e sua sorella) a scopo di rapina, ma a differenza di Consoli deciderà di costituirsi da uomo libero e grazie all’incontro caritatevole con la giovane Sonja. Si potrebbe andare avanti con Dostoevskij e chiuderla lì: buona parte dei suoi personaggi sono rosi dai vermi del rimorso (i fratelli Karamazov, il principe Myskin, lo Stavrogin distrutto dal ricordo di aver violentato una bambina). Ma sarebbe far torto a Shakespeare, al lancinante carico di responsabilità (laiche) che si aggiunge alla follia di re Lear dopo la morte di Cordelia, al suicidio colpevole di Otello, al groviglio di Macbeth. E che dire della crisi catartica dell’Innominato di fronte a Lucia? Bisognerà aspettare Kafka per trovare un senso di colpa provocato da moventi indecifrabili: un rimorso senza ragione apparente. Bisognerà aspettare Lo straniero di Camus per trovare un delitto senza rimorso apparente. Ma alla fine, meglio nessun rimorso che un rimorso superficiale.
Paolo Di Stefano