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 2011  gennaio 19 Mercoledì calendario

AMO’, BRIFFARE E SEGGIOLINA: IL BUNGABUNGHESE È FRA NOI

«Chi parla male pensa male», diceva Nanni Moretti, in «Palombella rossa». Ma questa è soltanto una lagna da barboso moralista. La realtà è che ogni ondata giudiziaria - come accadde all’epoca del dipietrese di Mani Pulite o per il ricuccese dei «furbetti del quartierino» - è anche una rivoluzione espressiva. O, almeno, svela nuovi linguaggi, butta sul piatto dell’italico idioma formule e vocaboli destinati a segnare una stagione. In senso alto, abbiamo adesso il «turbamento» di Napolitano o, più giù, il «non mi dimetto» di Berlusconi. Ma non sono certamente questi i simboli della neo-lingua. Come si dice invece, nella parlata «bungabunghese» delle ragazze che depongono davanti ai pm o conversano fra loro nelle intercettazioni, «andiamo a mangiare»? Si dice: «Si va da Giannino», che è il ristorante milanese dell’inner circle notturno del Cavaliere. E come si fa a descrivere una bella dormita? «Io e lui facevamo la nannina a seggiolina, abbracciati stretti stretti sotto le lenzuola», narra Evelina La Manna, 38 anni, ex modella e attrice che dal 2005 ha avuto una lunga relazione con Berlusconi.
«Papi», reminiscenza dell’epoca del Noemi-gate, è definizione poco usata stavolta. Meglio «Presidente» (un po’ banale, però) e soprattutto: «Lui» (così lo chiama Marysthell Garcia Polanco, showgirl caraibica del giro brianzolo) o addirittura «Gesù» («Gesù s’è sentito con Lele Mora», dice Ruby). Oppure, come narra una ragazza ai pm milanesi: «Noi lo chiamiamo tutte amore, o tesoro, o tesorino». E fra di loro, si chiamano: «amo’!». Barbara Guerra a Nicole Minetti: «Allora l’appartamento di Lui lo intesto a me, amo’». «Sei sicura?». «Massì, sennò diventa una rottura di palle pure per te, amo’». Altra formula regina del «bungabunghese»: «Ne vedi di ogni». Così dicono fra di loro molte ragazze, per descrivere il «puttanaio» allestito nella villa brianzole di Arcore, anzi di Hardcore. Dove ci si va ben preparate: cioè «briffate» (che significa, in traduzione maccheronica dal gergo aziendale, piene d’informazioni come si usa nei briefing).
Ai tempi di Mani Pulite, andò per la maggiore questa espressione burocratico-tribunalizia: la «dazione ambientale», cioè la tangente. All’epoca di Ricucci e compagnia, svettò la proverbiale e cruda immagine: «Stai a fa’ er fr... col c... mio». «Escort» è stato il totem linguistico della vicenda D’Addario. Ora si torna all’antichissimo e si dice, come minimo: «Zoccolette» (dichiarazione di Iva Zanicchi, ieri: «Bisogna credere alle parole delle varie zoccolette?»).
Va molto il linguaggio retrò. Si pensava che l’aggettivo «discinte» e il sostantivo «reggipetto» fossero in disuso ormai. E invece, nei racconti esterrefatti delle feste di Hardocore che fornisce l’ex prefetto Ferrigno, riecco queste parole fuori moda. Egli dice pure: «Mutandine strette». Non è più semplice dire «tanga»? Rispetto allo scandalo D’Addario, sono cambiate le desinenze. Allora c’era l’«ini» (Tarantini), adesso c’è l’«elli» (Spinelli). Trattasi di due persone che svolgono, uno allora e l’altro adesso, lo stesso compito. Ovvero? Altra parola nuova, usata dai pm nei loro atti: il «convogliatore» di ragazze. Cioè quello che le porta alle feste o si limita a pagarle. «Malato» è un aggettivo frutto di ripescaggio dall’idioma veronichese (della Lario) e l’amica della Minetti lo rispolvera in abbondanza: «Quello è malato, ma proprio malato». E diventa anche gioco la malattia, con Lele Mora che istruisce una ragazza: «Vestiti da infermiera con camice bianco e sotto niente. A lui piace fare il finto malato». Parole banali?
Ci sono anche quelle inconsapevolmente rubate - da Ruby Rubacuori - alla grande letteratura. «Lui è triste e solo», racconta la ragazza parlando del Cavaliere. Se fosse più cattiva, avrebbe potuto dire, citando il titolo del celebre romanzo di Osvaldo Soriano: «Triste, solitario y final».