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 2011  gennaio 19 Mercoledì calendario

Toh, dopo Ruby i pentiti: Berlusconi stragista - Non ci mancavano che lo­ro, i pentiti dell’ultima ora, i mafiosi buoni che si gettano il passato alle spalle e con un tempismo da gemelli del gol colgono l’attimo giusto e gua­da­gnano una giornata di cele­brità

Toh, dopo Ruby i pentiti: Berlusconi stragista - Non ci mancavano che lo­ro, i pentiti dell’ultima ora, i mafiosi buoni che si gettano il passato alle spalle e con un tempismo da gemelli del gol colgono l’attimo giusto e gua­da­gnano una giornata di cele­brità. I loro nomi sono Gio­vanni Ciaramitaro e Pasqua­le Di Filippo, ieri erano chia­mati a deporre a Firenze nel­l’udienza del processo sulle stragi del 1993. Non hanno de­luso il folto pubblico di appas­sionati riproponendo il ritor­nello già sentito da quel galan­tuomo di Gaspare Spatuzza: Silvio Berlusconi è il mandan­te delle stragi di mafia nei pri­mi Anni 90. C’era da aspettarselo. Molti lo sospettavano: la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento stava facendo da tappo a parecchi inquiren­ti scalpitanti. Adesso che la legge è stata ridimensionata, il turacciolo è saltato. Poche ore dopo il pronunciamento della Corte sono partite le car­te della procura di Milano sul caso Ruby. In qualche giorno sono stati resi noti a singhioz­zo ( e quindi con maggiore effi­cacia) intercettazioni e verba­li coperti dal segreto istrutto­rio che svergognano il pre­mier. Ora la manovra a tena­glia attorno al Cavaliere si chiude con i mammasantissi­ma redenti. Berlusconi sfrut­tatore, pedofilo, mafioso, stra­gista. Un attacco senza prece­denti. Come le bombe piazzate da Cosa nostra nell’anno in cui l’allora guardasigilli Conso decise «in assoluta autono­mia » di revocare il carcere du­ro a 140 mafiosi, anche le rive­lazioni contro il premier sem­brano a orologeria. Un attac­co concentrico, una serie di agguati su fronti diversi orche­strati con rara precisione. Si è parlato di un burattinaio die­tro questa massiccia offensi­va giudiziaria, di servizi devia­ti, di «incoraggiamenti» per destabilizzare il quadro politi­co, di un disegno concertato. Il sospetto è sempre più forte. Naturalmente, le deposizio­ni dei pentiti di Cosa nostra so­no basate sul «sentito dire». Di testimonianze dirette non c’è l’ombra. Queste le parole di Ciaramitaro: «Francesco Giuliano mi disse che erano stati dei politici a dirgli questi obiettivi, questi suggerimen­ti » (riguardo le stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano) «e in un’altra occasione mi fece il nome di Berlusconi». La ra­gione delle stragi era ottenere «l’abolizione del 41 bis e delle leggi sulla mafia». «Le bombe le mettevano per scendere a patti con lo Stato - ha spiegato Ciaramitaro - . C’erano politi­ci che indicavano quali obiet­tivi colpire con le bombe: an­date a metterle alle opere d’ar­te ». Ed ecco il numero uno di Fininvest che fornisce gli indi­rizzi degli Uffizi a Firenze e del Velabro a Roma. «Chiesi a Giuliano perché dovevamo colpire i monumenti e le cose di valore fuori dalla Sicilia. Lui mi disse che ci stava que­sto politico, che ancora non era un politico, ma che quan­do sarebbe diventato presi­dente del Consiglio avrebbe abolito queste leggi. Poi mi disse che era Berlusconi». L’altro collaboratore, uno che nel curriculum mafioso vanta l’appartenenza a grup­pi di fuoco, non si è lasciato andare a voli pindarici sul tu­rismo da scoraggiare ma è an­dato più per le spicce. «Da quando avevo 20 anni mi han­no sempre detto cosa dovevo votare politicamente, io e tut­ti gli altri. Nel ’94, quando ci sono state le elezioni in Sici­lia, abbiamo votato tutti per Berlusconi, perché ci doveva aiutare, doveva far levare il 41 bis»: questo il racconto di Pa­squale Di Filippo reso nella stessa aula fiorentina in cui aveva deposto Ciaramitaro. Ma Berlusconi non toccò il 41 bis, anzi. Di Filippo se ne lamentò con Bagarella, il qua­le «dopo l’arresto di Riina, se­condo me, era il numero uno di Cosa nostra». «Nelle carce­ri ci stanno ammazzando a tutti. Lui mi ha risposto in sici­liano: in questo momento la­scialo stare perché non può fa­re niente. Comunque appena c’è la possibilità lui ci aiuterà. Questo è stato il dialogo che io ho avuto con Bagarella». Prove? Elementi più consi­stenti che non le chiacchiere tra boss riesumate dopo 18 an­ni? «Le stragi erano un ricatto della mafia allo Stato» e per far arrivare il messaggio a de­stinazione «sicuramente c’era un intermediario. Nes­suno me ne ha mai parlato, ma ci arrivo a logica». Ah, ec­co: la logica mafiosa eretta a fondamento del castello di ac­cuse. Deduzione e intercetta­zione, le ultime armi per eli­minare Berlusconi.