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 2011  gennaio 19 Mercoledì calendario

IL SISTEMA TRABELSI EREDITÀ PESANTE PER LE AZIENDE

La fine di Leila e dei "bravi ragazzi" di Tunisi ricadrà sulle spalle assai fragili della nuova Tunisia. Penso a queste parole dell’imprenditore Aldo Gervasoni mentre una colonna di fumo nero sovrasta l’area industriale di Megrine invadendo i polmoni: da ore brucia la fabbrica di Saker Matri, genero di Ben Alì. «I saccheggi sono stati all’80% mirati alle proprietà del clan, noi, come altri italiani, abbiamo riaperto, il porto funziona e oggi riprendiamo le esportazioni», dice questo bresciano di 40 anni che dirige la fonderia di famiglia: 140 dipendenti, componenti per veicoli industriali e agricoli, l’80% della produzione all’export, in Italia (Fiat-New Holland), Francia, Austria.

I dipendenti sono ottimisti: «La libertà fa lavorare meglio - sostiene Mourad, ingegnere - noi non abbiamo gas e petrolio, la nostra ricchezza è il lavoro e stiamo riacquistando la dignità, la capacità di parlare». Mourad guadagna 2.400 dinari al mese, circa 1.300 euro, il salario minimo è di 400 dinari per 17 mensilità. Nell’industria pesante le paghe sono il doppio che nel tessile: «Alla Diesel - riprende Gervasoni - gli operai prendono la metà per sfornare jeans a un costo medio di quattro euro».

«Il problema qui è il sistema finanziario: il clan ha comprato la maggior parte delle aziende a debito, sono persino riusciti a quotare in Borsa un cementificio di cui esiste soltanto il progetto». Con Gervasoni lasciamo da parte forni e colate: «La Tunisia è in stato di "surbanking", le banche sono troppe rispetto alle dimensioni dell’economia. Alcune appaiono solide, come la Biat di Marouane Mabrouk, che ha sposato Cyrine, figlia di Ben Alì - dice Gervasoni - perché appartiene a una dinastia in affari dai tempi di Bourghiba». Ma altre, con vetrate luccicanti, sembrano creature di sabbia.

Quali saranno i conti reali della Banque de Tunisie? Il più antico istituto di credito è finito nelle mani di Belhassem Trabelsi, fratello maggiore di Leila, moglie di Ben Alì, la vera reggente di Cartagine in questi anni ruggenti e voraci. Con un colpo di mano i Trabelsi hanno estromesso gli azionisti nominando al vertice la loro amica Madame Abdallah, moglie di Abdelwahab Abdallah, il socio di Ben Dhia: «Due nomi poco appariscenti alle cronache ma che erano le eminenze grigie del sistema», dice il direttore di una filiale, che trema come una foglia quando gli chiedo il nome. Forse non deve essere stato difficile per Leila, con l’aiuto del superpoliziotto Alì Seriati, "convincere" il direttore della Banca centrale, silurato dal governo Gannouchi, a farsi consegnare una tonnellata e mezza di lingotti d’oro.

La Banque du Sud è stata invece regalata all’énfant gaté della finanza locale, Saker Matri, che ha sposato un’altra figlia di Ben Alì, Nasrine. Una sorta di dono di nozze perché Matri, unico concorrente nella privatizzazione della banca, l’ha acquistata a un decimo del valore per rivenderla subito al doppio al gruppo ispano-marocchino Attijari Bank. Saker aveva una corsia preferenziale. Quando lo stato vende la Enakl, gruppo di trasporti, Matri se lo aggiudica con un assegno da 17 milioni di dinari che il ministero delle Finanze non ha mai potuto riscuotere. Era così che si facevano gli affari.

I bravi ragazzi di Tunisi usavano metodi spicci. Appalti truccati e la giusta dose di calibrate minacce per piegare i più testardi, come accadde a Foued Cheman, tycoon del tessile entrato nel mirino di uno dei generi del presidente, Slim Chiboub: per salvare la pelle Foued nel 2004 scappa con moglie e figli sotto protezione degli agenti americani. Non c’è da meravigliarsi che l’ambasciatore Usa, amplificato da WikiLeaks, definisse la Tunisia uno stato-mafia. «Se avevi un’attività interessante ti costringevano a vendere o a diventare loro socio», conferma Gervasoni. Oppure ti facevano capire che chinare la testa era solo un vantaggio.

Raouf Mehnni, uomo d’affari in difficoltà, si era rifiutato di dare la figlia in moglie a un parente della famiglia: per convincerlo gli annullarono i debiti con le banche. Vivere con i bravi ragazzi era solo un vantaggio. Potevi comprare un aereo privato e metterlo in conto alla Tunisair - tanto comandavano loro anche lì - fare il contrabbando di alcol, ma non quello della droga, per non avere alle costole la Dea americana o l’Interpol; acquistare ville e terreni a meno della metà del valore, costruire una marina a Sidi bu Said e se eri sveglio diventare padrone di una banca. Tutto era possibile nel mondo di Leila Trabelsi, il vero capo del paese, come ha ammesso il primo ministro Gannouchi, che ora fa e disfa labili governi e sembra il liquidatore del Mocambo, tra bicchieri di whisky vuoti e cicche di sigarette del duty free (anche quello era loro, come l’aereoporto).

Guardo i ragazzi della fonderia Gervasoni: in questi momenti di crisi e confusione, di debiti non pagati e lingotti spariti, non tutto è perduto. Forse ha ragione Mourad, con la libertà si lavora meglio.