
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Israele è furibondo con Obama e con i sei Paesi che hanno sottoscritto l’intesa sul nucleare con Teheran. Netanyahu, il primo ministro, ha riunito il suo gabinetto di sicurezza e questo consesso ha votato «in maniera compatta» una specie di “fatwa” sull’accordo (che poi è un preaccordo, da perfezionare entro il 30 giugno).
• Che cosa dicono?
Parla il premier: «L’accordo non ferma un singolo impianto nucleare in Iran, non distrugge una sola centrifuga e non fermerà lo sviluppo e la ricerca sulle centrifughe avanzate. Al contrario, legittima l’illegale programma nucleare. Israele chiede che ogni accordo finale con l’Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere. Qualcuno ora dice che la sola alternativa a questo cattivo accordo è la guerra, ma non è vero. C’è una terza alternativa: restare saldi, aumentare la pressione sull’Iran fino a che sia raggiunto un buon accordo. Voglio chiarire una cosa a tutti: la sopravvivenza di Israele non è negoziabile. Israele non accetta un accordo che consente a un Paese che vuole annientarci di sviluppare armi nucleari. Solo due giorni fa, nel mezzo dei negoziati di Losanna, il comandante della forze di sicurezza “Basij” in Iran ha detto: la distruzione di Israele non è negoziabile».
• Forse qualcosa su questo punto Obama avrebbe potuto spuntarla nel negoziato.
Forse. Ma forse chiedere questo a un Paese dove il sentimento anti-israeliano è ancora così forte avrebbe significato rendere impossibile qualunque passo avanti. La politica è appunto questo: concedere e ottenere tutto quanto è possibile nella situazione data. Dieci anni fa sarebbe stato diverso e tra dieci anni sarà ancora diverso. Tra Iran e Stati Uniti non ci sono relazioni diplomatiche dal 1979, quando i khomeinisti sequestrarono degli americani nella loro ambasciata e il presidente Carter tentò di liberarli con un blitz miseramente fallito. Che i due Paesi, dopo 35 anni, firmino insieme qualcosa non può essere sottovalutato. L’arma migliore per tutti è la pazienza.
• È vero che l’accordo lascia liberi gli iraniani di costruirsi una bomba atomica?
Intanto non sarà male ricordare che Israele l’atomica ce l’ha, anzi ne ha molte. Quanto all’Iran, l’accordo blocca l’impianto al plutonio di Arak, sposta all’estero il carburante necessario per l’arricchimento e limita il medesimo arricchimento a 5.060 centrifughe modello IR-1, cioè della prima generazione. Queste centrifughe si trovano a Natanz. «Arricchimento dell’uranio», prima che me lo chieda, è la procedura preliminare necessaria alla costruzione della bomba. Una questione riguarda il tempo necessario per costruire la bomba. Oggi all’Iran basterebbero soltanto due-tre mesi. Una volta rese operative le intese, gli ci vorrebbe almeno un anno.
• E se decidono di fabbricarsela, chi li ferma?
Per i prossimi 15 anni gli ispettori dell’Agenzia atomica dell’Onu saranno in Iran a verificare il rispetto degli impegni sottoscritti. Le sanzioni verranno tolte a poco a poco e se l’Iran verrà meno agli accordi, le sanzioni saranno subito ripristinate. Il nodo è da risolvere anche fra i firmatari della dichiarazione di giovedì: la Francia, ad esempio, ha frenato, precisando che la questione del calendario della loro abolizione «non è ancora assolutamente risolta». In ogni caso, l’intesa a Teheran è stata accolta con manifestazioni di giubilo, perché se è vero che l’Iran non potrà ancora (per esempio) commerciare il petrolio, la ripresa economica alle viste attirerà nel Paese capitali e relativi investimenti. È un mercato enorme che si ripresenta al mondo. Tanto che il giorno dopo l’intesa di Losanna, il presidente iraniano Hassan Rohani ha rilanciato le promesse del suo inizio mandato: il Paese si riaprirà al mondo, perché l’accordo è il primo passo verso una «costruttiva cooperazione» con gli altri Paesi, anche con quelli con cui vi sono «tensioni e ostilità».
• Può tutto questo portare a una guerra con Israele?
Netanyahu e Obama si sono parlati al telefono e l’israeliano avrebbe trattato malissimo il presidente Usa. Il quale avrebbe risposto che, anche se a Tel Aviv non se ne accorgono, l’intesa mette Israele in maggiore sicurezza. Sono schierati con Israele e contro il patto Usa-Iran, oltre ai repubblicani del Congresso, anche gli egiziani, i sauditi e gli altri Paesi sunniti che vedono gli sciiti di Teheran come il fumo negli occhi. Senonché l’Egitto si fa mantenere dai dollari Usa e su altri versanti le intese tra arabi e americani sono forti. E poi c’è lo pseudo-califfo contro il quale vogliono andare tutti quanti. Perciò il vero artefice dell’accordo è proprio il feroce al Baghdadi, contro il quale Washington si propone di muovere una coalizione formata soprattutto dai Paesi mediorientali, Iran in testa.
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