Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 04 Sabato calendario

AUTO, I PROFITTI ARRIVANO DA CINA E USA

Utili record nel 2014 per il mondo delle quattroruote; utili che al 70% arrivano dalla Cina e dagli Stati Uniti. Un rapporto della società di consulenza McKinsey descrive un settore automotive in ottima salute, che si è lasciato alle spalle la crisi del 2008-2009 e grazie a margini di profitto superiori alle medie storiche sta accumulando risorse finanziarie per affrontare i prossimi cicli negativi.
Lo studio McKinsey prende in considerazione i maggiori 21 produttori di automobili (esclusi quindi pneumatici e componenti): nel 2014 il campione ha accumulato profitti operativi per 127 miliardi di dollari, record storico anche se superiore solo di poco ai 126 miliardi del 2013. Il margine sulle vendite delle attività autoveicolistiche è lievemente sceso (6,6% contro 6,8%) ma resta nettamente al di sopra dei valori del decennio precedente; i valori minimi sono stati toccati nel 2008 e 2009, con margini dello 0,3% e 0,4%, rispettivamente.
Come in ogni statistica che si rispetti, anche questa media nasconde profonde diseguaglianze. Dei 127 miliardi di profitti del 2014, oltre due terzi vengono da Cina (50 miliardi, in crescita dal 2013) e Nordamerica (38 miliardi, stabile). I restanti 39 miliardi vengono guadagnati in Europa, Giappone e Corea, e nel resto del mondo (compresi tutti i Paesi emergenti, Cina esclusa). La dinamica del 2014 vede un recupero in Europa, di pari passo con i timidi segnali di ripresa congiunturale, e un dimezzamento (da 23 a 11 miliardi) nel resto del mondo, soprattutto per effetto del crollo in Russia e Brasile. La Cina produce il 40% dei profitti con il 21% del fatturato, mentre l’Europa - da cui viene il 24% dei ricavi - genera solo l’11% degli utili. I margini sulle vendite sono pari al 12% in Cina, 7% in Nordamerica e 3% in Europa.
Attenzione, però: ciò non vuol dire che i costruttori europei di auto guadagnino poco. L’utile operativo dei sei gruppi con sede in Europa (Volkswagen, Bmw, Daimler, Peugeot, Renault e Fca) ha superato l’anno scorso i 38 miliardi di euro (42 miliardi di dollari al cambio attuale) di cui poco meno di 27 miliardi dalle attività auto. Semplicemente, quasi tutti loro guadagnano fuori dall’Europa: chi dalla Cina (soprattutto i tedeschi), che dagli Usa (Fca), chi con la partecipazione in Nissan (Renault).
La vera miniera d’oro dei colossi dell’auto è comunque nei dintorni di Pechino, come dimostra il dettaglio dei conti dei costruttori premium tedeschi (Audi, Bmw e Mercedes) che più di tutti ne hanno approfittato. Il dubbio, in prospettiva, è quanto potrà durare il periodo aureo: il rallentamento della crescita potrebbe portare a cattive sorprese nel medio periodo, soprattutto se continueranno gli investimenti in nuova capacità produttiva; la notizia riportata qui a fianco sul progetto della Toyota in Cina sembra confermare questo trend.
Dal punto di vista della ripartizione dei profitti per segmento di mercato, non sorprende che le auto premium ottengano il 38% dei profitti (33% un anno prima) con il solo 25% del fatturato. Più interessante è il fatto che la ripartizione del pool di utili fra costruttori generalisti e premium è molto diversa fra Europa (sede dei tre big tedeschi) e Cina/Nordamerica: in queste ultime due regioni i generalisti guadagnano quasi 30 miliardi di euro, contro 19 e 11 rispettivamente per i marchi premium; in Europa il lusso “vale” 11 miliardi contro i soli 3 dell’auto di massa.
Lo studio McKinsey si chiude con un’avvertenza: le valutazioni di Borsa dei costruttori automobilistici, il cui rapporto EV/Mol è pari a metà di quello medio dell’indice S&P 500 (titoli finanziari esclusi), implicano un margine futuro di profitto pari al 2,9% contro l’attuale 4,7 per cento. Il mercato, insomma, non crede che l’attuale periodo d’oro sia sostenibile.
Andrea Malan, Il Sole 24 Ore 4/4/2015