Marco Imarisio, Corriere della Sera 4/4/2015, 4 aprile 2015
LE DONNE CHE HANNO VISTO TRE SECOLI
Sono quattro e sono nate alla fine dell’800. La furiosa e commovente capacità di resistere
Storie di quattro donne, ultracentenarie, la cui vita ha attraversato tre secoli. Da Emma Morano, italiana di Vercelli, la donna più anziana d’Europa con i suoi 115 anni, alla decana del gruppo, la giapponese Misao Okawa, che si è spenta da poco, lasciandosi dietro articoli e riflessioni sulla longevità: non solo fenomeni da Guinness dei primati, ma figure degne di ammirazione per la furiosa e commovente capacità di resistere.
La vecchiaia è più facile da raccontare che da vedere. L’unica a tentare un sorriso tra le quattro ultracentenarie che hanno vissuto in tre diversi secoli è proprio Emma Morano, italiana di Vercelli, la donna più anziana d’Europa con i suoi 115 anni. La loro decana, la giapponese Misao Okawa, si è spenta pochi giorni fa, autorizzando con la sua scomparsa articoli e riflessioni su questi fenomeni di longevità che non sono soltanto statistiche da Guinness dei primati, ma figure che ispirano invidia e timore al tempo stesso. Tutti vorremmo idealmente arrivare alla loro età, tutti ci domandiamo se ne avremmo la forza, e non si parla certo di complessione fisica, ma di ben altro. Sono personaggi quasi irreali, e infatti l’unico possibile riferimento è quello di Jack Crabb il personaggio de Il piccolo grande uomo, impersonato da Dustin Hoffman. Il film comincia con un giornalista che si accinge a intervistare un vecchio che ha appena compiuto 121 anni. E quello racconta, la giovinezza, i massacri cui ha assistito, le gioie e i dolori, le volte in cui ha pensato di non farcela, che non ne valesse più la pena. Racconta la sua vita. Alla fine, quasi spaventato, il cronista spegne il registratore ed esce in silenzio dalla stanza. A ogni compleanno di queste quattro donne arriva puntuale la foto di famiglia, riprodotta nel mondo intero quasi a esorcizzare la nostra ancestrale paura di morire. Ma dopo gli applausi alle nonnine mondiali, può capitare che arrivi anche il dubbio. Perché ci vuole soprattutto coraggio, per durare così a lungo. Tre secoli significano guerre, rivoluzioni, bombe atomiche, e soprattutto decine di quelle piccole apocalissi personali che fanno invocare il diritto alla stanchezza. A leggerne le biografie di persone normali, testimoni solo delle loro esistenze e non della storia, come è giusto che sia, colpisce che due di loro abbiano subìto in giovane età lo sfregio della perdita di un figlio. Così, a freddo e incrociando le dita, viene difficile immaginare un dolore più grande al quale sopravvivere. Quegli occhi ormai offuscati hanno visto tante cose, e sappiamo che a rimanere impresse sono soprattutto le sofferenze, le gioie evaporano sempre troppo in fretta. Nell’epoca in cui l’età anagrafica è ormai diventata come la temperatura atmosferica, con quella reale che spesso contrasta con quella percepita da noi stessi e dagli altri, e l’età non ha più nulla di oggettivo davanti a visi e corpi che tentano in ogni modo di camuffarla, i volti segnati di queste donne non sono un richiamo al piacere dei ricordi, che spesso viene evocato per indorare la pillola dell’ineluttabile, ma piuttosto un omaggio alla virtù più grande degli esseri umani. Che non è certo la ribellione all’età e la vana ricerca dell’eterna giovinezza, e neppure la capacità di accettare lo scorrere del tempo, il suo opposto. Ma è questa furiosa, commovente, inspiegabile, capacità di resistere.