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 2015  aprile 04 Sabato calendario

«CRESCIUTO NEL QUEENS OVVIO CHE SIA CATTIVO MA È UNA LEZIONE DI VITA»

DAL NOSTRO INVIATO CANTÙ Soprassedendo volentieri sull’Italia che non conosce («Renzi? Who?») e su quella non ben a fuoco nelle sue orecchie («La Ferrari? Ah, è italiana?... Valentino Rossi? Ha un team di basket?»), vi assicuriamo che una chiacchierata con Metta World Peace è un’esperienza interessante. L’uomo che sussurra ai Panda sarà anche un duro del parquet e un tipo che si accende facilmente; ma è anche una persona gradevole, felice come un bambino perché avrà modo «di visitare Roma e Venezia, visto che giocheremo lì». Basta pazientare l’ora di stretching post allenamento per scoprire l’MWP che non ti aspetti.
La chiamiamo Metta o Panda’s Friend, come ha scritto sulle maglie di Cantù?
«Metta va bene. Ma a me piace cambiare i nomi se ci sono delle fasi della vita che me lo suggeriscono: in Cina ho imparato ad amare i Panda; quindi, The Panda’s friend».
Aveva mai letto il nome Cantù su una mappa?
(sorriso) «No. L’ho visto per la prima volta dieci giorni fa, quando Federico (ndr: Paci, il suo agente) mi ha detto che lì c’era una squadra che mi voleva per conquistare i playoff».
Passare da Los Angeles a alla Brianza non è uno shock?
«No, è un’esperienza. E io sono qui soprattutto per giocare un buon basket: è da due anni che non ci riesco».
Lei ama la moda: avrebbe potuto firmare per l’Armani.
«Cantù mi ha aiutato tanto, anche sul fronte del nuovo brand (ndr: quello dei panda) . E poi — sghignazza — mi hanno già spiegato che con Milano la rivalità è forte...».
Basta Nba, ha detto. E futuro in Europa. Ecco: in Italia, oppure nel resto d’Europa?
«Da noi si dice “overseas”. Poi nell’overseas c’è prima di tutto l’Europa: nella Nba ho visto venire tanti buoni giocatori e ben allenati, ecco perché voglio fare questa esperienza: se sarò sano andrò avanti magari fino a 42 anni, come Jabbar. Andrò in un’altra squadra? Se potrò, rimarrò a Cantù».
In Italia ci sono palasport piccoli e vecchi. E si tifa per i propri giocatori, senza rispetto per la stella avversaria.
«Scopro che in pochi chilometri ci sono più squadre. Mille tifosi di qui potrebbero riempire di rumore un’arena Nba: non ero abituato, ma è bello».
Chi è Metta World Peace?
«Una persona connessa con la vita, con il mondo e con gli animali. Ho cura di me, del corpo e dell’alimentazione: la cucina “bio” è la preferita».
Per il modo di giocare si è fatto la fama di cattivo: ma Metta World Peace lo è?
«Certamente».
Avrebbe giocato volentieri nei Detroit Pistons dell’era dei Bad Boys?
«Assolutamente sì. Io nel Queens sono cresciuto giocando come un “bad boy”. E sono felice di esserlo stato, anche come lezione di vita».
Il suo credo cestistico è...
«Difesa, gruppo, tiro».
Pronunciamo il nome David Stern: ci picchia?
«Il commissioner che mi ha squalificato per 86 giornate dopo la rissa a Detroit?». Risata e spiegazione: «Non so se sia stato giusto punirmi così ... It was good, sono stato aggredito alle spalle e ho reagito: ho imparato che non devi permettere che ti colpiscano in questo modo».
Questa è invece la foto di Ettore Messina ai Lakers.
«Oh, my “boy”...: lui mi piace. È vero che adesso è il vice di Popovich agli Spurs?»
Sì, e ha pure diretto e vinto due partite. Allena Belinelli.
«Marco gioca? È bravo, è un tiratore. Io ho giocato con Bargnani, lui è forte. Come Gallinari, del resto. C’è anche un quarto italiano, Datome, nei Celtics? Non lo conosco».
Lei ha vinto un solo titolo: carriera ingenerosa?
«Carriera instabile, soprattutto. Avrei potuto vincere con Indiana, ma quella era una squadra problematica».
Lei è arrivato ai Bulls l’anno dopo il ritiro di Jordan: le è dispiaciuto non giocare con lui?
«Sarebbe stato bello, bisogna sempre giocare con i migliori, sennò non ti diverti».
Ne prenda uno tra MJ, Kobe Bryant e LeBron James.
«Jordan. Ho giocato con Kobe, ma MJ era incredibile».
Lo sa che il Bryant bambino ha vissuto a Pistoia, dove lei ha debuttato?
«Ah, l’ho sentito. So anche che giocava già a basket».
I panda sono entrati nella sua vita...
«Sono connessi con la Terra e tutti li amano. Però ciò che faccio per loro non è un business: è a scopo benefico e sociale».
La Cina e l’Italia per migliorare come persona?
«Sì. E per conoscere gente».
Qua il basket è un po’ diverso da quello Nba.
«L’ho capito: infrazioni di passi, contatti... Mi abituerò».
Perché ce l’ha con gli arbitri?
«Perché tanti non hanno mai giocato a basket. Però lo dirigono. Il basket è un gioco veloce e loro spesso non lo sono!».