Anna Bandettini, la Repubblica 4/4/2015, 4 aprile 2015
“CERCO L’ANIMA DEGLI OGGETTI”
[Arturo Brachetti] –
C’è chi la giudica una passione prettamente femminile, forse perché è qualcosa del tutto inutile.
Arturo Brachetti ha un’altra idea: «Collezionare anticaglie e oggetti usati è un modo di manifestare la propria creatività, qualcosa che richiede intuizione, curiosità. E intelligenza, per non farti fregare... Io la definirei una passione infantile, da eterni bambini. Come sono io».
Brachetti è il mago e illusionista italiano più famoso, anche all’estero. L’essere nel Guinness Book of Records come il più veloce trasformista del mondo, l’aver vinto premi come il Molière, il Lawrence Olivier, l’aver girato il mondo con i suoi spettacoli, conoscere centinaia di trucchi con cui illude migliaia di spettatori, l’essere commendatore, nominato due anni fa da Napolitano, non gli ha tolto niente dell’entusiasmo fanciullesco, dell’aria da adolescente birichino che ancora conserva a 57 anni, magro magro, senza pancia, senza rughe (e senza trucchi), con il civettuolo ciuffo di capelli ritto sulla testa come una guglia.
Oltre la magia, racconta, il suo godimento creativo è andare a caccia di cose usate per mercatini e rigattieri: statuine parlanti, cappelli per cui va pazzo, soprammobili e mobili: tutto purché usato. Collezionare oggetti vintage, si intuisce, è per lui un modo di essere “antichic”.
LA COMPAGNIA
Arturo Brachetti con gli altri protagonisti del suo spettacolo “Che sorpresa!”, in questi mesi in scena in varie città italiane. Per la prima volta il trasformista non è da solo sul palcoscenico
«Vuoi mettere un cappotto o un cappello di una elegante signora del primo Novecento, con tessuti svolazzanti, preziosi, d’alta moda che ti porti via magari a dieci euro, rispetto a uno di quelli di oggi industriali e in serie? Io poi amo le cose che non sembrano quel che sono. Ho due cestini di frutta tutta falsa, e nel frigo staziona da cinque anni un panino. Falso, naturalmente. In una parte della libreria conservo una ventina di libri finti: c’è la copertina, le pagine perfino sgualcite ma dentro non c’è niente, è una scatola vuota».
Sono qualche centinaio le curiosità che custodisce nel suo appartamento a Torino, una casa delle favole con trucchi e trappole e strani nascondigli. Gli oggetti usati, per esempio, sono in una camera, una sorta di “panopticum curiositate” che si raggiunge solo se conosci il cammino altrimenti non la trovi.
Altri fanno sfoggio negli spettacoli, compreso l’ultimo Che sorpresa!, che sta girando l’Italia,(il 7 e 8 ad Assisi e dal 10 al Sistina di Roma, poi dal 3 maggio di nuovo a Torino a grande richiesta), dove per la prima volta non è in scena solo. Con l’allievo Luca Bono, giovane manipolatore e illusionista, i comici Luca & Tino, il più ruvido mago Francesco Scimemi, ha messo sù un grande videogioco live: una valigia esplode e si sparpagliano i personaggi di un videogame dove il protagonista deve superare una serie di livelli in una avventura molto brachettiana perché i livelli sono gli stadi della vita, dalla fanciullezza alla maturità. Tutto con una sorpresa ogni 20 secondi, oltre 30 personaggi, una scena che sembra l’universo di Tron e effetti speciali che vanno dalla “sand painting” al volo su un raggio trasportatore.
«Uno dice che c’entra il mio essere mago con il collezionismo? C’entra per due ragioni. Primo io dormo poco. Ho ansie da prestazione di palcoscenico continue perché fare magie vuol dire che il pubblico si aspetta da te sempre cose inaspettate, dunque devi sempre essere nuovo e diverso. Ecco, andare in giro a cercare oggetti strani, rilassa. Poi c’è che sono un caso psicologico. Ho la sindrome di Peter Pan conclamata dallo psicologo: il bambino che è in me vorrebbe rimanere eterno 13enne. “Arturo — mi ha detto lo psicologo — ringrazia il cielo che l’essere bambino ti fa guadagnare. Tienila buona la tua sindrome, assecondala in modo creativo. Ed è quello che faccio. La magia. Ma anche il collezionismo perché fa rivivere cose inanimate. È un’altra forma di illusionismo». Come la testa vera di coccodrillo comprata a New York per pochi soldi o il giovane falco a due teste, il pesce diavolo, la scimmia animata, le tante statuine del presepe di Napoli compresa una con le sembianze di Brachetti, le mostruose candele finte, i giocattoli parlanti che l’artista ha raccolto i tanti anni. «Oggetti normali no? Che senso avrebbe? Guardi questo grammofono del 1906 dove è stata tolta la tromba e al suo posto c’è un violino con la puntina che va sul disco a 78 giri e diventa un violino che parla. O il grammofono da viaggio pieghevole. Lì ci sono tutti i miei cappelli: quello di un ambasciatore francese a Cuba che trovai a Londra, quello autentico dell’Opera di Pechino, quella della mia laurea ad Honorem, due copricapi con piume e strass delle Folies Bergère».
Oggetti che lo hanno pacificamente folgorato. «Beccarli va a fortuna. Posso dire una cosa banale? Gli oggetti ti chiamano. Se apro eBay su Internet io ci trovo quell’oggetto curioso che magari è in vendita solo due volte l’anno. In Italia io non compro quasi più. Una cosa di modernariato triplica subito il prezzo e io non la prendo. Una volta c’era Porta Portese a Roma e altri mercatini bellissimi che poi si sono arresi all’evidenza dei prodotti cinesi: costano poco e rendono tanto. Qualcosa ancora c’è al Gran Balon a Torino. Se no, io giro il mondo. A Bruxelles da non perdere il Marché du Sablon a Place du Grand Sablon, i vari marchès aux puces di Parigi, il mercato di Mauerpark a Berlino ma soprattutto il marché aux puces di St-Michel di Montréal in Canada dove ho comparto un salvadanaio da bambini di ghisa, con su una palla e il clown che fa un salto quando metti la monetina e poi una bottiglia che è un porta sigarette e il tappo un accendino con carillon. E poi c’è la catena Troc sia in Francia che in Belgio dove ho trovato una televisione degli anni Cinquanta per 30 euro e che ancora funziona».
Va da sé che di questi oggetti si intuisce l’assoluta inutilità. «Inutili ma appaganti. E poi io parto da un presupposto poetico: che ogni oggetto ha un’anima. Come mostrava il grande poeta spagnolo Joan Brossa anche il pettine di sua nonna ha un valore. A me a pensare che il cappello delle Folies Bergére sia stato portato negli anni 30 da chissà quante ballerine e con loro ha vissuto chissà quante avventure, mi piace. È come collezionare tante vite. Non faccio raccolta di francobolli o di cravatte che mi annoiano molto. Vedere il violino parlante e sapere che un matto se l’è inventato è un po’ come la magia, creare cose che non esistono. In fondo tutti questi oggetti sono interpreti che aspettano un pubblico che li veda. Un po’ come me, ex — timido, ragazzino sfigato e imbranato, che ha studiato i trucchi per essere guardato da tutti».
Anna Bandettini, la Repubblica 4/4/2015