Karen Rubin, Il Giornale 4/4/2015, 4 aprile 2015
MANGIARE L’AGNELLO NON E’ MODA MA UN SIMBOLO
Mangiare l’agnello arrosto durante la festa pasquale è una memoria di cultura giudaico- cristiana che risale a seimila anni fa. Nel libro dell’Esodo è raccontato che Dio liberò gli uomini dalla schiavitù grazie al sacrificio dell’agnello che nel nuovo testamento diventerà il simbolo di Gesù. Un’usanza tramandata dai genitori ai figli, seguita dai credenti ma anche da molti laici cui sfugge il significato di questa abitudine alimentare. Un rito che si tramanda di generazione in generazione automaticamente come lo è il pranzo domenicale e quello natalizio che rivestono un significato importante in particolare per i bambini. Comportamenti abituali sono associati a una buona salute psicofisica e non soltanto per motivi religiosi. Costituiscono quei momenti in cui tutti gli appartenenti a un gruppo sociale sanno cosa condividere con gioia e partecipazione. Riunirsi intorno a un tavolo il giorno di festa secondo tradizione accomuna e lega i membri di una famiglia rinforzando quel senso di appartenenza che è alla base dell’identità personale del singolo individuo. Per le sue caratteristiche fisiche l’uomo non può vivere in ambienti realmente naturali, nella sua evoluzione è riuscito a sopravvivere perché si è adattato attivamente all’ambiente attraverso il dominio sulla natura che ha trasformato per i suoi scopi, imparando a vivere in luoghi freddi usando il fuoco e la legna per scaldarsi, cacciando gli animali per nutrire se stesso e i figli.
Modificare un’usanza che esiste da 60 secoli non è un impresa per soli animalisti integralisti. Sostituire l’agnello con le polpette di tofu è un passaggio culturale che avverrà quando la maggior parte degli uomini giudicherà che questo simbolo e la carne in generale non rappresenteranno più il valore che oggi continuano a rivestire. Durante il periodo pasquale le famiglie trovano agnello di buona qualità a un prezzo accessibile. La maggior parte degli italiani è lontana da quel fanatismo alimentare per cui oggi saremmo chiamati a consumare prevalentemente vegetali e legumi provenienti da costosissime coltivazioni biologiche che la ricerca scientifica non dice essere garanti di una salute migliore.
Siamo vittime di un’ideologia estremista in ogni campo della nostra esistenza. Dobbiamo vedere bianco o nero, mangiare solo verdure o abbuffarci di carne. I puristi vegetariani e i 300 mila ortoressici e cioè quegli individui che hanno un complesso di superiorità basato sul cibo che li porta a disprezzare le persone che secondo loro non mangiano sano, vorrebbero farci rinunciare ad alcune pietanze o al pranzo pasquale perpetuando i nostri usi e costumi. La scelta ecologica e salutista varrebbe più dell’aspetto sociale, relazionale e affettivo per non parlare della libertà che ad ognuno dovrebbe essere garantita. Non si può oltretutto sostenere che il sano, il biologico e il light contino più del gusto. Cibi non salati, non zuccherini, non fritti e non grigliati non sono saporiti. Privarsi del piacere del cibo anche durante le feste è un indice di un disturbo alimentare che non riguarda la quantità ma la qualità del cibo che si decide di consumare. Provare a suscitare sensi di colpa alle famiglie che mangeranno l’abbacchio al forno con le patate è una vera ingiustizia. Quello che oggi deve e può essere proibito è l’utilizzo degli animali a rischio estinzione e il consumo di proteine animali in eccesso perché è dannoso per la salute.
Che ognuno decida secondo la sua coscienza ma rispettando principi di buon senso che prevedono che chi vuole mangiare la carne senza essere additato come un assassino possa farlo ma in una quantità tale da non contribuire all’esistenza di quegli allevamenti intensivi che inquinano il pianeta 365 giorni l’anno e non soltanto durante le festività. L’abbacchio una volta l’anno non è un eccesso sopratutto se ha un valore simbolico. Il povero agnello sarà allora di nuovo un animale sacrificale perché per quel giorno polli vitelli e mucche avranno avuto sorte migliore e a loro, anche se l’immagine intenerisce meno il cuore umano, andrebbe garantito lo stesso rispetto.