Guido Santevecchi, Corriere della Sera 4/4/2015, 4 aprile 2015
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO
Prima i fatti: con l’acquisto della società Infront, il signor Wang Jianlin da Cangxi, provincia del Sichuan, ha portato in Cina i diritti tv della serie A. Poi le ipotesi: due anni fa sembrava che il signor Chen Feng, proprietario di una grande compagnia aerea, fosse sul punto di prendersi la Roma. Non se ne fece niente. Ora si susseguono gli avvistamenti di possibili scalatori o compratori cinesi per il Milan. Comunque vada a finire, di sicuro a Pechino il calcio italiano interessa. Per fare un esempio, il signor Robert Lu, vicepresidente della ChemChina entrata in Pirelli, qualche giorno fa per spiegare al Corriere la loro stima per l’Italia non ha esitato a ricordare la storia calcistica di Milan e Inter. Resta da capire quale sia la molla che spinge imprenditori di successo della seconda economia del mondo a pensare di investire in club che notoriamente non producono utili (e ultimamente nemmeno molte soddisfazioni sportive). Torniamo a un fatto importante e inconfutabile. Il Gruppo Guida per le Riforme, in Cina, è una specie di supergoverno, presieduto dal presidente della Repubblica, nonché segretario generale del partito comunista, Xi Jinping. E che cosa ha annunciato a fine febbraio il Gruppo Guida dopo una lunga seduta conclusa nella notte? «Bisogna trasformare la Cina in una potenza calcistica, perché questo è il disperato desiderio del popolo». Xi Jinping è un appassionato di calcio e sogna di portare a Pechino la finale della Coppa del Mondo. Ma in attesa di ospitare il torneo, non sarebbe male se la nazionale rossa si qualificasse per i Mondiali, fatto che si è verificato una sola volta, nel 2002. Per progredire serve la conoscenza, il know how, come si dice in campo industriale. E di sapienza calcistica la grande Cina ne ha molto poca, con la sua nazionale relegata oltre l’80° posto nella classifica Fifa. Così scende in campo il capo dello Stato e ordina «lo sviluppo intensivo del football». Il progetto del governo prevede la formazione di 6 mila maestri di calcio e impone a 20 mila scuole elementari e medie di introdurre lezioni obbligatorie di football. Ma chi forma i maestri? Serve il know how dall’estero. Ed ecco che all’improvviso il mondo imprenditoriale della Cina scopre l’interesse per l’investimento calcistico in Europa. Wang Jianlin, a capo del gruppo Wanda che spazia dall’edilizia all’intrattenimento ha appena perfezionato l’acquisto del 20% dell’Atletico Madrid per 45 milioni di euro. E ha subito annunciato che una novantina di ragazzini cinesi tra gli 11 e i 13 anni sono stati spediti a Madrid per apprendere tocco di palla e tattica nelle giovanili del club campione di Spagna: un bel regalo alla nuova politica pallonara del governo di Pechino. Sembra chiaro che a Wang, imprenditore accorto, non interessi tanto fregiarsi del titolo di azionista di minoranza dell’Atletico, quanto fare un favore al potere centrale. Sempre Wang ha detto pubblicamente di volere un club tutto suo, «inglese o italiano, dipende dal costo». Quanto alla spesa, però, il miliardo di euro di valutazione del Milan lo ha lasciato perplesso: ha detto che con quella cifra pensava che si potesse acquistare tutta la serie A. Se il Milan diventerà mandarino, presto a Milanello arriveranno ragazzini cinesi desiderosi di studiare calcio, per la gloria (futura) della loro nazionale. Se invece in una possibile asta al rialzo dovesse spuntarla il thailandese Bee, per Pechino sarebbe un’altra sconfitta, come quella mortificante per 5-1 subita dalla nazionale rossa contro quella della Thailandia pochi mesi fa.
Guido Santevecchi
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