Stefano Mancini, La Stampa 4/4/2015, 4 aprile 2015
DOPO L’INTER, IL MILAN IL NOSTRO CALCIO IN CRISI DIVENTERÀ ASIATICO?
Nella Milano da vendere ci sono un cinese e un thailandese che si contendono il Milan di Berlusconi, mentre l’altra squadra storica cittadina è da oltre un anno in mani indonesiane: l’Inter di Moratti è diventata l’Inter di Tohir, suona strano, ma dobbiamo farci l’orecchio. Nel resto d’Europa funziona così da tempo, l’Italia del calcio è costretta ad adattarsi per sopravvivere: mentre la Roma e il Bologna sono in mani americane, adesso l’ex capitale del calcio si apre a finanziatori asiatici.
Gli sfidanti
La cordata cinese fa capo a Richard Lee, fino a due anni fa importatore di Ferrari a Hong Kong. Mister Lee ha cenato ad Arcore giovedì sera. «Non si è parlato di calcio», è la smentita di rito da fonti Fininvest. Il fronte thailandese è rappresentato da Bee Taechaubol, a capo di un gruppo finanziario che avrebbe già pronto un piano di rilancio fondato su Paolo Maldini e altre ex star del pallone. Mister Bee ha ammesso la trattativa e vorrebbe chiudere entro giugno. Lee terrebbe Barbara Berlusconi come amministratore, Bee punterebbe su Adriano Galliani, entrambi stanno cercando di mettere insieme un miliardo per concludere l’affare.
Il ciclo cominciato da Berlusconi a metà Anni Ottanta, termina trent’anni dopo con l’imminente addio dell’ex Cavaliere. Il Milan degli olandesi che si afferma in Europa, la serie A che diventa «il campionato più bello del mondo», i fuoriclasse che fanno la fila per sistemarsi nel Belpaese sono lo specchio rovesciato del calcio italiano di oggi, dove i (pochi) fenomeni finiscono sotto contratto all’estero appena segnano il decimo gol e non c’è società che abbia i mezzi per trattenerli. Il campionato ha perso l’ingrediente dell’incertezza: a tre mesi dalla fine si sa già chi arriverà ultimo, il Parma fallito, e chi vincerà lo scudetto, per la quarta volta di fila la Juventus, unica squadra che ha uno stadio di proprietà e si è preparata in tempo al nuovo corso.
La scommessa
La Premier League inglese è il punto di riferimento del calcio spettacolare e redditizio, ma lo schema è identico: dieci squadre sono in mani straniere, incluse le prime cinque in classifica. Nella Liga spagnola, altro esempio di show business redditizio, tre società sono state cedute: Valencia a un imprenditore di Singapore, Malaga a uno sceicco del Qatar, Granada a Giampaolo Pozzo, già patron di Udinese e Watford. Le grandi (Barcellona e Real Madrid) resistono a prezzo di scandali, inchieste per evasione fiscale e aiuti di Stato. E infine la Ligue francese, cinque società cedute ad altrettanti investitori stranieri, in testa il Psg della Qatar Sport Investments, fondo sovrano che mette a profitto il fiume di denaro generato da petrolio e gas.
Il modello italiano segue al ribasso: se nel Regno Unito arrivano i rubli di Roman Abramovich, numero 68 nella classifica mondiale degli uomini più ricchi con 11 miliardi di euro di patrimonio, e in Francia opera lo Stato più opulento del pianeta, da noi arrivano i benestanti. La questione stadi, uno sport impoverito, polemiche e scandali tengono lontani i grandi capitali. L’Italia deve accontentarsi di Lee&Bee.
Stefano Mancini, La Stampa 4/4/2015