Alessandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 4/4/2015, 4 aprile 2015
DA LATINA A NEW YORK, A ROMA TUTTO IL MONDA È CINEMA
Lo spaghetto al dente può soddisfare l’appetito corporeo e quello mentale. Può cambiare le sorti a chi lo serve, se condito da giusti sorrisi, adeguate parole; se insomma l’oste è abile e attento con «l’affamato». La storia lo insegna, e Antonio Monda, neo direttore artistico del Festival del cinema di Roma, ne è il suo ultimo profeta.
Nipote di Riccardo Misasi (democristiano di ascendenza calabrese e demitiano di stretta osservanza) il giovane Monda cresce a Cisterna di Latina, dove il padre sindaco scompare quando non ha neanche quindici anni. A Cisterna, tra PozzoCafone e la Torrecchia Vecchia del principe Carlo Caracciolo, Monda osservava le zone bonificate durante il Fascismo con meno indulgenza di Antonio Pennacchi: «Qui cominciavano le paludi e i cisternesi erano tutti butteri, cowboys. Conoscevano solo il cavallo, le mandrie, le foreste e i pantani. Ancora adesso – che la bonifica è stata fatta da un pezzo e girano pure in macchina – restano nell’animo sostanzialmente butteri: onesti e orgogliosi».
Di qualità simili, così poco spendibili in società, il giovane Monda non sapeva che farsene, per questo ambisce Roma e il suo generone: prende una laurea in Legge per far contenta la madre, poi si divide tra i set cinematografici e il sogno di diventare regista. Poca soddisfazione. Riesce appena a portare il suo Dicembre al Festival di Venezia, ma il film passa inosservato e si perde «in una partita di luoghi comuni». Non basta. Il vento fischia forte, e scompiglia anche il suo principale sponsor: Riccardo Misasi, lo zio, viene accusato di associazione mafiosa: «Il dolore più grande della mia vita» e Monda emigra a New York, anno 1994, in cerca di fortuna.
Lì sposa una ragazza giamaicana, ottiene una green carde si trasferisce in loco arrampicandosi sulla scala sociale alla maniera dei pigmei raccontati nel suo ultimo libro, Ora benga (Mondadori). Qui è imbianchino prima, commesso poi, quindi portiere, e passo dopo passo conquista New York che – racconterà in un’aulica intervista a Francesco Pacifico – aveva già scoperto nella sua meraviglia a fine anni ’70, quando un tassista vedendolo commosso dalle luci della città gli aveva detto: «Benvenuto nel cuore del mondo». Attenzione però: solo esserci a Monda non basta, non a New York.
Tra sofferenza, fatica e successo diventa un dettaglio la reale conoscenza delle cose, perché come rivela lui stesso, «questa caratteristica, improvvisare lavori, me la sono sempre portata dietro nella vita».
Di improvvisazione in improvvisazione, Monda si è fatto strada con i pranzetti, benedetti pranzetti. Il gioco era semplice. Prima si fa un’intervista per un documentario Rai, poi si invita a cena l’intervistato, infine si allarga a dismisura il concetto di salotto e si funge da àncora di salvezza per gli italiani annoiati che in visita a New York non vogliono rinunciare agli spaghetti e magari desiderano sedersi e farsi fotografare accanto a Philip Roth.
Del tris tagliatelle-letteratura-vacuità, Monda è maestro. Intervista dopo intervista, lo assoldano alla New York University: «Pensi che sapresti tenere dei corsi?» gli chiedono. E lui non dice di no. «L’America funziona così. Ovviamente devi saperti presentare molto bene. Devi far vedere la tua mercanzia... io ho fatto vedere tutte le recensioni». Un buon ragù fa miracoli e Monda ottiene il posto: «Bisogna fare lobbyng a favore di se stessi». Il meccanismo è ormai rodato e Monda continua ad arare il terreno ormai fertile. Diventa amico di Gay Talese e da lì coglie come ciliege i nomi celebri della cultura americana per attovagliarli a modo suo: «Siccome mi prendevano in simpatia – l’italiano quando è un minimo presentabile e ha un minimo di cultura è considerato immediatamente per defaultcharming, come dicono qui –, Gay mi ha molto inserito». Il resto l’ha fatto il bell’Antonio. Un brunch con vista su Central Park e giù cariche, collaborazioni, patenti letterarie, conoscenze nobili, dalla Streep a Scorsese. L’uomo di Monda diventa un marchio. I suoi pranzetti un irrinunciabile status sociale, e arriva anche a ottenere una comparsata in This Must be the place di Paolo Sorrentino. Sotto il cielo di Monda intanto piovono cattedre, salvacondotti da organizzatore di eventi tra il MoMa e l’Italia: «Sono andato con molta faccia tosta, con il biglietto da visita con adjunct professor cancellato, al MoMa dicendo che ero un professore e che volevo organizzare delle mostre. E lì mi ha aiutato molto Gillo Pontecorvo, che non solo ha scritto la lettera per me, perché all’epoca era presidente di Cinecittà: lui mi diede carta bianca per organizzare delle mostre sul cinema italiano per valorizzare il cinema italiano».
Dell’Italia che lo ha riaccolto affidandogli il Festival del cinema di Roma, diceva con rimpianto: «Sono andato via perché sentivo di non poter fiorire». Ora che i frutti sono maturi e le preoccupazioni economiche del passato restano un ricordo, Monda può occuparsi di ciò che preferisce. Preparare i posti a tavola. Nell’intervista a Pacifico, ne parlava con la stessa prosopopea di chi aveva scoperto la penicillina: «Cerco sempre di evitare le cose più scontate... stupire, far trovare la superstar no, si deve sempre cercare la naturalezza. Ovviamente eviti le idiosincrasie, le rivalità: ci sono amici che tra di loro non si amano. Questa è una regola che chiunque riceve sa. Mi è successo un paio di volte non sapendo di mettere delle persone vicine, e non è stato piacevole». Chi ha avuto ha avuto. Chi ha dato ha dato. Si inizia dall’antipasto e poi, arrivando al dolce, si conquista il Monda.
Alessandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 4/4/2015