Filippo Ceccarelli, la Repubblica 4/4/2015, 4 aprile 2015
QUATTRO PER MILLE RIMBORSI, CREDIT CARD E LA POLITICA DIVENTA MERCHANDISING
Tanto per cambiare i partiti hanno speso troppo, perciò bussano a quattrini, ma come al solito è molto difficile commiserarli.
Così da più di un quarantennio (la prima legge sul finanziamento pubblico entrò in vigore nel 1974), nell’arco ormai di tre o quattro generazioni, accade a un certo momento che i tesorieri entrino in ansia, e allora si agitano, si riuniscono, fanno pressioni sui rispettivi leader e alla fine - che però non è mai la fine cercano comunque di tamponare la crisi finanziaria con qualche ideona più o meno bislacca, che però regolarmente presentano come risolutiva.
Quasi sempre cercano di ammantarla di retorica. All’inizio si diceva: «La democrazia ha un costo », con il che ventilando che il prezzo della corruzione sarebbe stato maggiore. Le formule dell’ultimo ventennio, comprensibilmente più reticenti rispetto al malaffare, recitano: «Dei partiti non si può fare a meno» e «altrimenti la politica possono farla solo i Berlusconi». Ogni soluzione escogitata, in linea di massima, è più pulita e più trasparente della precedente. Ma tutti sanno che non è così.
La premessa, o se si vuole il peccato originale è di far finta che gli italiani non abbiano mai votato contro il finanziamento pubblico, come invece accadde nel 1993, dopo Tangentopoli, con il 90,3 per cento.
A livello tecnico il micro-finanziamento digitale ricorda un pochino la vana astuzia varata nel 1998 con la Carta di Credito «Unica», gestita da Mastercard e dalla Banca Finemiro, per cui ogni acquisto effettuato comportava un contributo alle forze politiche. Il potenziale bacino d’utenza del merchandising di partito fu valutato allora attorno ai quattro milioni di cittadini- consumatori. Ma in realtà il flop fu tale da cancellarne perfino il ricordo.
Due o tre anni prima, d’altra parte, sempre i poveri cassieri avevano elaborato un complicatissimo congegno di esenzioni fiscali, il cosiddetto «Quattro per mille», che doveva coinvolgere i contribuenti. Però anche in quel caso la fiducia risultò così bassa che i risultati di quel pronunciamento vennero a lungo nascosti e divulgati solo quando, con votazioni semiclandestine e notturne, fu varato un complicatissimo, ma ricco sistema di «rimborsi», tra virgolette, perché in pratica il finanziamento pubblico era del tutto ripristinato, con l’aggravante di una complicità quasi generale.
Di solito sono scelte che si pagano in un secondo tempo. In questo senso l’assenteismo elettorale, poco sotto al 50 per cento, è appena un aperitivo. Non solo, ma il finanziamento pubblico non impedisce gli scandali. Né si può pensare che lo facciano gli sms e le app. Negli ultimi due anni le cronache, anche giudiziarie, sono state allietate dalle «spese pazze» nelle regioni. Per l’anno 2015 e seguenti, a partire dalla Roma di Alemanno e da Ischia cooperante, s’annuncia un pienone di inchieste su quelle «fondazioni» che dai partiti sono germinate non proprio come centri di elaborazione culturale.
Nel frattempo la Lega ha investito in diamanti e pagato la laurea albanese al Trota; e se Forza Italia si è trasferita in una sede principesca, ogni tanto nel Pd prendono a rinfacciarsi gli uni con gli altri ricchi stipendi, signorili soggiorni e perfino televisioni, tanto clandestine quanto costose.
Eppure tutti lì a piangere che i soldi non bastavano mai mentre affittavano aerei, pullman, camper, hotel di lusso e ordinavano sondaggi a rotta di collo, organizzavano concerti e convegni con le immancabili hostess, stipendiavano specialisti di ogni tipo, addirittura «reputation manager» con il compito di «pulire» la rete dalle loro stesse malefatte. Col bel risultato che in questo quadro di spendi-e-spandi e arraffa-arraffa solo i cinquestelle - che è tutto dire - finiscono per fare una bella figura perché almeno hanno rinunciato ai soldi pubblici, 42 milioni di euro, con cerimonia di assegnone-poster davanti a Montecitorio.
In tale contesto fiorisce la soluzione tecnologica dei messaggini e dei regalini da un euro, ma subito viene spontaneo pensare a quali fantasiose e massive scappatoie, a quali astrusi stratagemmi e traviamenti faranno ricorso i partiti per riempire le loro casse. Senza ideali, senza progetti e senza credibilità si capisce che la post-politica costa molto di più. Meno voti e più soldi, più affari e meno realtà. La politica con altri mezzi, la politica che mangia se stessa.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 4/4/2015