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 2015  aprile 04 Sabato calendario

“VIOLENTO E VENDICATIVO HA UCCISO PER QUESTO”

Francesco Furchì ha ucciso «in modo orrendo» l’avvocato torinese Alberto Musy, la mattina del 21 marzo 2012, in preda al desiderio di una spietata vendetta, con l’auto di un complice rimasto sconosciuto. Nelle motivazioni della sentenza che lo ha condannato all’ergastolo, i giudici della Corte d’Assise di Torino, presieduta da Pietro Capello, scrivono che sono nove gli indizi che lo inchiodano. Tra questi, «l’alibi falso presentato per le ore del delitto», il «silenzio totale» sui suoi spostamenti del 21 marzo, lo spegnimento del telefono e soprattutto il movente, un mix di rancore e odio maturato nel tempo a causa di «favori mancati e promesse mai mantenute».
Il ritratto dell’assassino
«Si tratta di un personaggio certamente dotato di un’autostima assolutamente esagerata nelle proprie capacità. Da molte testimonianze emerge un carattere violento e vendicativo certamente incattivito dai fallimenti degli ultimi anni, fallimento a livello familiare e conseguente separazione della moglie e fallimento di ogni iniziativa volta sia ad accreditarsi presso personaggi importanti della vita pubblica, sia a trovare una sistemazione lavorativa per ovviare alla sua disastrosa situazione finanziaria, una sequela di fallimenti da lui percepiti come profonde umiliazioni idonee ad aumentare in lui l’odio e il rancore nei confronti delle persone ritenute responsabili di tutto questo, tra cui il prof. Musy». La Corte riprende la tesi del pm Roberto Furlan che l’aveva definito «personalità così rancorosa ed egocentrica». E lo inquadra così: «Millantatore e maneggione alla disperata ricerca di visibilità e di una sistemazione. Persona dotata di carattere violento e prevaricatore, in grado di covare odio e propositi di vendetta». Vendetta covata a lungo contro una persona «colpevole, a suo modo di vedere, di averla tradita».
Anche chi lo conosce lo considera così. I giudici annotano una frase di sua moglie, Adelina De Mori: «Bastardo calabrese, vive di vendetta», dice alla sorella Cinzia pensando che il marito, a causa della separazione, si accanirà su di lei, a distanza di tempo. Vive per vendicarsi e il medesimo concetto è ribadito in altre telefonate «in cui la moglie esprime la paura che sta vivendo a causa dell’indole vendicativa del marito».
Veleni in Università
Musy, invece, scrive la Corte, è un «galantuomo, cittadino integerrimo e padre esemplare». Tra i colleghi, però, conta anche alcuni detrattori. «Alcune voce dissonanti hanno messo in rilievo la sua propensione a fare con facilità promesse che poi non manteneva». Ad esempio, il professor Monateri, i cui rapporti d’amicizia con la vittima si sono nel tempo guastati, «come dimostra in maniera indubitabile l’agghiacciante bigliettino da lui scritto dopo l’attentato “Acerbis Nano ci ha insegnato che sparate ad uno stronzo non è reato”».
Alcuni colleghi e collaboratori politici insistono su questo tratto caratteriale. Significativo l’sms inviato a Monateri da un altro giurista, Ugo Mattei, subito dopo l’attentato: «Chi sa a chi ha fatto il pacco questa volta, povero figlio». E Monateri in Tribunale: «Pacchi Alberto ne distribuiva a destra e a manca». Annotano i giudici: «La propensione della vittima a promettere e poi non mantenere è molto verosimilmente da porsi in rapporto con i moventi che hanno indotto Furchì a commettere questo atroce crimine».
Massimo Numa, Andrea Rossi, La Stampa 4/4/2015