Alberto Arbasino, Corriere della Sera 4/4/2015, 4 aprile 2015
MORANDI E LA «SANTA CECILIA» L’ESTASI CHE VIENE DALL’ANTICO
Eccolo ancora qui, l’antico volumetto di versi di W.H. Auden, rilegato in tela gialla da Faber and Faber, nel 1948. E intitolato The Age of Anxiety. Come una sinfonia con pianoforte, composta da Leonard Bernstein l’anno dopo. Ma a Roma si discute ancora se non fosse preferibile intitolare «L’Età dell’Ansia» (più full time, stabile, perenne...) e non già «dell’Angoscia» (più episodica, discontinua, disorganica…) quella fine del cosiddetto Stile Antico. Dai Severi a Diocleziano: un’età di continue crisi, eccessi e accessi incessanti, convulsioni e depressioni interminabili... Sempre peggioramenti, esaurimenti, smarrimenti, imbarazzi, incertezze, disagi, rovine... E crac! giacché nessuno evidentemente periva più per una fine «naturale», in una sede così bramata dal Potere. Dopo una «Età dell’Equilibrio» con Traiano, Adriano, Marco Aurelio, Antonino Pio... E una «Età d’Oro» con Diocleziano, una «Età del Ferro» con Massimiano...
Con questa «Ecloga Barocca» dedicata a John Betjeman (quanti ricordi, e care memorie... New Bats in Old Belfries, A Shropshire Lad, Summoned by Bells ...) siamo in tempi di guerra, in un triste bar presso la Battery di New York. Guardando gli specchi sopra un drink generico, melanconico... Attribuendo correttamente il Dies Irae a Tommaso da Celano... E tornando al lavoro, in un mondo ove il tempo è reale, e quindi la Poesia («Lacrimosa dies illa, Qua resurget ex Favilla, Iudicandus homo reus») non può rivendicare o determinare interessi.
Circa l’Età dell’Angoscia, un suo tipicissimo rappresentante potrebbe risultare Elagabalo, posto quattordicenne sul trono imperiale nel 218 d.C. dalle mamme e nonne e zie basate ad Antiochia, e poi ammazzato dai suoi stessi pretoriani quattro anni dopo. Ci si può concretamente domandare quando mai avrà avuto il tempo di perpetrare nequizie così lunghe. Figlio di Caracalla? «Per cuncta cava corporis libidinem recipientem... Emissarios qui ei bene vasatos perquirerent... Zoticus, Ierocles, Protogenes, Cordius, Mirissimus...». Il grandioso Anfiteatro Castrense presso la basilica di S. Croce in Gerusalemme, un bagno pubblico imponente in Vicus Sulpicius (terme?), pranzi di solo fagiano o solo pollo con otto sordi o calvi o grassi verdi o blu o iridescenti, cuscini pneumatici:, violette dal soffitto, orinali di onice e mirra... E lui, giustiziere, taverniere, profumiere, fontaniere, cuoco... In compagnia di vegliardi acconciati da filosofi greci... Ma non sarà un po’ troppo?
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Chi l’avrebbe supposto? L’Histoire du Soldat di Stravinskij riguarda soprattutto il corpo del Soldato. O almeno, una parte squisita del suo corpicino. Altro che il suo misero violino: è solo una metafora? Nell’esecuzione di Lindsay Kemp, tante mossette e molti attuzzi servono soltanto a indicare l’oggetto puntato dal Diavolo, in varie forme. Viene spontaneo esclamare: ma che glielo dia! Un pubblico attempato, indulgente.
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Una sede illustre per Da Cimabue a Morandi , omaggio di Vittorio Sgarbi al volume di Roberto Longhi con lo stesso titolo. Pittura bolognese insigne; Cagnacci, Guercino, Domenichino, e i Carracci nel Palazzo Fava dove si ammirano gli alti arazzi affrescati: l’incontro fra Giasone e Medea, la fuga, gli incanti, il sacrificio e la fuga di Enea... Un liocorno addormentato, dalle collezioni di Soragna... Un Parmigianino, riconosciuto come San Rocco appestato dal cane di un nobile... Un cardinale Agucchi, che medita cose non simpatiche... Un Mastelletta notturno, un Reni con giganti cadenti, e uno con Lucrezia morbida e galante e pronta al sacrifizio... Rinaldi e Armide, Officine di Vulcano, Madonne in trono, Sacre Famiglie più o meno in estasi... E finalmente, sintesi ineguagliata di norma e natura, sapere antico e fede moderna e interiorizzazione degli affetti, la Santa Cecilia di Raffaello «un apice di gusto e di genio» che non mancò di suscitare aspre critiche e risentiti malumori, in epoche romantiche.
Qui ci si incuriosisce alla fine, davanti agli scarsi e smunti Morandi. E dunque si riapre il Longhi, per riscontrare quei particolari sempre da conoscitore vero, non da amatore svagato, nelle conversazioni con Morandi.
Nell’ordine dei tempi: Giotto, Masaccio, Piero, Bellini, Tiziano, Chardin, Corot, Cézanne, Renoir... Niente van Gogh, né Gauguin, né Modigliani, ovviamente. Ma nemmeno Botticelli, Pollaiolo, Michelangelo. «La réalité à exprimer résidait, je le comprenait maintenant, non dans l’apparence du sujet, mais dans le degré de pénétration de cette impression où celle apparence importait peu»…
Proust, qui e dovunque, benissimo. Però, Morandi e la «Santa Cecilia» di Raffaello ?
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«Modalità seriale?»... «Secche perigliose?»... «Lentezza meditata?»... «Affettuosa studiosità?»... Sarà perché qui al Vittoriano si vedono tutte queste bottiglie in fila, e poi troppe vedute di paesaggi più o meno poveri, miseri, desolati, infelici... Sarà forse perché tutti questi fiori di carta o garza possono diventare (alla lunga) stucchevoli... Così, questa mostra romana delle pitture di Giorgio Morandi, suddivisa per temi, problemi, oggetti, soggetti, potrebbe risultare — una sala dopo l’altra — noiosa e tediosa, addirittura caramellosa…
Monotona...
Nelle varie sale, si sente chiedere: dove saranno i quadri di Krugier? O di Gino Magnani? Magnani e Longhi avranno dovuto scegliere fra tutte queste centinaia di bottiglie, centinaia di paesaggi e Fiorellini?
...Mah .