Anna Guaita, Il Messaggero 4/4/2015, 4 aprile 2015
LA VITA AI TEMPI DELL’ALGORITMO
NEW YORK C’è quello di Google, quello di Facebook, quello di Amazon. Algoritmi che aiutano le più grandi corporations del mondo a utilizzare al meglio tutto quello che sanno di noi. E di noi sanno tutto: dove lavoriamo, cosa mangiamo, cosa guardiamo in tv, e dove andiamo in vacanza. Ci conoscono profondamente. E noi crediamo di conoscere loro. Dopotutto sono aziende pubbliche. E invece quel che non sappiamo, è proprio quel che ci riguarda: come fanno a capirci così bene? Perché se è vero che oramai sappiamo in teoria cos’è un algoritmo - è un processo logico-matematico che segue una serie di istruzioni per risolvere un problema o trovare una risposta - quel che non sappiamo è come macini le informazioni che ci riguardano. Ad esempio, sono davvero ciechi e quindi non razzisti e non sessisti? I dubbi sono leciti, considerato che non c’è quasi più settore della società che non ricorra a qualche algoritmo per trovare risposte o soluzioni: le banche, i datori di lavoro, i siti di cuori solitari, la polizia, i servizi segreti. Viviamo di fatto in una dittatura virtuale, di cui siamo solo vagamente coscienti. Eppure quasi ogni aspetto della nostra vita finirà regolata da un algoritmo.
I PROGRAMMISi è tanto discusso di facial recognition, del programma di riconoscimento biometrico che sia polizia che servizi di intelligence hanno adottato nella lotta al terrorismo. Ma pochi sapevano che esiste anche un programma di voice recognition, e che un nuovo algoritmo permette alle aziende che operano nel settore dell’ospitalità o dei servizi di servirsene per assumere persone la cui voce proietti calore umano. Può apparire strano, considerato che chiunque dovrebbe essere in grado di ascoltare una persona parlare e capire istintivamente se la sua voce sia piacevole o no. Ma l’agenzia di collocamento Jobaline riduce i tempi e le possibilità di errore ricorrendo a questo speciale algoritmo in grado di afferrare se la voce di un candidato proietti un senso di calma, solleciti nell’ascoltatore una reazione di simpatia e un senso di fiducia. Qualità molto importanti per chi lavora ad esempio ai centralini delle linee di supporto o reclami di grandi aziende. Il Ceo di Jobaline assicura che la "macina" dei dati è assolutamente imparziale, non considera razza, età, genere: «E’ la bellezza della matematica - dice Luis Salazar -. E’ cieca».
LA MATEMATICAMa dire che gli algoritmi sono ciechi perché è cieca la matematica, lascia fuori il fatto che l’algoritmo dà risposte su soldi, amore, crimine, lavoro sulla base di dati forniti dagli esseri umani. Quando un cliente chiede un prestito in banca, l’istituto di credito decide in base al punteggio del cliente, il credit scoring, ottenuto con un algoritmo che studia tra le altre cose il reddito, il lavoro, l’area geografica di residenza. La polizia di molti Paesi usa un algoritmo creato dagli scienziati dell’University of Memphis che aiuta a prevedere i crimini, un po’ come nel film Minority Report in cui Tom Cruise interpreta un poliziotto della sezione pre-crimine indicato come un futuro omicida. Il programma di polizia preventiva accumula i dati più svariati, come la temperatura atmosferica, la localizzazione di quartieri popolari, la percentuale di assenze da scuola di teen-ager, per stabilire se un certo quartiere abbia bisogno di una bella retata, ma nessuno ci ha detto finora se in queste retate non siano finiti individui del tutto innocenti. L’amore per fortuna sembra funzionare bene: almeno un terzo dei matrimoni che si celebrano oggi negli Usa sono nati da incontri nei siti dei cuori solitari, che fanno abbondante ricorso ad algoritmi spesso sofisticati quasi quanto quelli che la Nsa usa per identificare i sospetti di terrorismo.
Nessuno dice che gli algoritmi siano necessariamente un male, anzi: possono far risparmiare soldi e tempo, e anche difendere i consumatori non solo sfruttarli. Il problema rimane il fatto che le decisioni avvengono nel segreto. Il professore Frank Pasquale dell’University of Maryland ha lanciato una sfida a corporations e governi: gettate luce sul procedimento, adottate più trasparenza, smettete di agire nella segretezza. Nel suo ultimo libro, The Black Box Society, Pasquale denuncia proprio il fatto che ogni giorno le grandi corporations possono collegare tutte le tracce che noi lasciamo. Loro sanno tutto di noi, ma non ci dicono come usano quelle informazioni. E invece abbiamo diritto a sapere.