
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Pensare che appena due settimane fa Graziano Mesina era a farsi intervistare al Festival della Storia di Gorizia, quest’anno dedicato ai banditi, e faceva la parte del malavitoso di charme, che però l’ha fatta finita con la vecchia vita e adesso porta i turisti a passeggio per la Barbagia. Invece l’hanno arrestato, lo accusano di traffico di droga e di aver progettato un sequestro di persona. In pratica sarebbe un capo-banda.
• Ma quanti ha?
Settantuno. È nato a Orgosolo il 4 aprile del 1942.
• E a settantun anni...?
Infatti il sindaco della città, Dionigi Deledda, s’è detto «molto sorpreso, anche se non voglio entrare nel merito della vicenda». Ora, i carabinieri dicono che l’indagine durava da cinque anni, è stata una grossa operazione, trecento uomini mobilitati, ci sono delle intercettazioni, eccetera. I militari e il magistrato che li guida raccontano che in Sardegna operano due organizzazioni dedite al traffico di droga con il continente, e Mesina sarebbe il capo della più importante delle due. Il tramite, sempre secondo gli accusatori, sarebbe l’avvocato Corrado Altea, di anni 62, che tirava fuori i primi soldi per la droga e, profittando del suo studio, raccoglieva informazioni che poi passava a Mesina e al suo alleato Gigino Milia. C’è poi la storia di una progettato sequestro di persona, di cui avrebbe dovuto essere vittima Luigi Russo, imprenditore dell’abbigliamento all’ingrosso e accessori. Secondo i carabinieri, uomini del duo Mesina-Milia andarono anche a fare sopralluoghi nei dintorni della casa del sequestrando. E c’è una telefonata di due anni fa in cui un Giovanni Filindeu e Mesina parlano della possibilità «di portare via la moglie e i figli» a una persona di cui non si fa il nome. Nella retata di ieri sono state messe in carcere 25 persone. Aspettiamo gli sviluppi per saperne di più e farci un’idea. Mesina, intanto, s’è rivolto per la sua difesa all’avvocato Giannino Guiso, sempre sui giorali un tempo, perché, oltre a difendere lo stesso Mesina, s’era preso cura di Craxi, del brigatista Renato Curcio e dell’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli.
• Il fatto è che questo Mesina, che fa tanto clamore, emerge da un passato lontano, sono certo che la maggior parte dei nostri lettori, gente giovane, ha al massimo una vaga idea della persona di cui stiamo parlando.
Beh, l’ultima volta le cronache se ne sono occupate all’epoca del sequestro Kassam. Sa di che si tratta?
• Veramente...
Farouk Kassam di sette anni, figlio di Fateh Kassam, un belga di origine indiana che gestiva un grande albergo di Porto Cervo. Il 15 gennaio del 1992 i banditi fecero irruzione nella casa dei Kassam e portarono via il bambino. Detenzione di quasi sette mesi, durante la quale i sequestratori, per mostrare che facevano sul serio, tagliarono al piccolo la sommità dell’orecchio sinistro. Il 10 luglio, finalmente, la liberazione, grazie proprio all’intermediazione di Mesina (messo da poco in libertà vigilata), che quella volta si mise in rete con i nostri servizi segreti e fu terminale di una trattativa di cui non s’è mai saputo granché. Il capo dei sequestratori era Matteo Boe, poi condannato a 20 anni. L’Italia riscoprì allora questo personaggio Mesina, facendosi l’idea che fosse un bandito ravveduto, come abbiamo effettivamente creduto fino a ieri, anche se era finito in galera un’altra volta per via di un deposito d’armi che i carabinieri gli avevano trovato nella villetta dell’astigiano dove era andato a vivere. Di quel deposito, s’è sempre proclamato innocente («m’hanno incastrato»). Alla fine, nel 2004, Ciampi lo ha graziato.
• Ma perché è tanto famoso?
Soprattutto per le evasioni. È scappato nove volte. I carabinieri lo conoscevano già, perché a 14 anni aveva rubato un fucile e se l’era cavata col perdono giudiziale. Ma a 18 anni, al termine di una festa, si mise a sparare su un lampione, distruggendolo, e i militari lo portarono in caserma. Probabilmente gli avrebbero fatto poco o niente, ma Graziano fece la scemenza di scappare (prima evasione), finì dentro per sette mesi e lì si rovinò per sempre. Quando gli ammazzarono il fratello, andò a farsi giustizia da sè, spalancò la porta del bar di Orgosolo dove si trovava il presunto assassino e lo riempì di pallottole. Aveva vent’anni. Da allora è stato un viavai nelle carceri di tutt’Italia, inframezzato da evasioni, sequestri di persona, interviste ai giornali, storie d’amore con le solite donne che vanno pazze per i mascalzoni, insomma tutto quello che ci vuole per farne una figurina italiana. Lui di se stesso ha detto: «Nessuna delle persone che ho rapito si è mai costituita parte civile. Ci sarà un motivo. Con alcuni sono diventato persino amico». Era il penultimo di dieci figli, Alberto Pinna lo ha descritto come «piccolo, robusto, agilissimo, vivace fin troppo, orgoglio smisurato e spiccatissimo senso della famiglia e della giustizia fa da te». Credevamo che fosse andato in pensione. Chissà.
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