Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 11 Martedì calendario

TALPA O CONDOR? ANATOMIA DELLO SPIONE USA

«La talpa» (The mole) fu il libro che rese noto al mondo John Le Carré, ex spia britannica e massima auto­rit­à letteraria in materia di spionag­gio. Ma prima di lui c’era stato Graham Greene che, sempre nei recinti dell’intelligence, aveva scritto Il fattore umano dove si mostra la prevalenza delle passioni sulle regole ferree delle spie. Questi sono i due elementi di cui si deve tenere sempre conto quando si parla di intelligence e delle sue falle. La talpa è l’infiltrato che il nemi­co ti ha allevato in casa; e il fatto­re umano - le emozioni, l’amo­re, l’idealismo etico e politico ­è ciò che mina un sistema teori­camente perfetto e invece vul­nerabile. Gli agenti si innamo­rano, si indignano, si ribellano, anche quando non si vendono per denaro.
Che cos’è Edward Snowden, il tecnico contrattista della Cia che è andato al Guardian bri­tannico e spifferato tutto sul più grande sistema di intercet­tazioni della storia? È una talpa? Non sembra perché non ri­sponde a un nemico, benché non lo si possa escludere. Stia­mo alle sue parole e alla sua bel­la faccia pulita di giovane con un paio d’occhiali che danno l’idea del nerd secchione. Ora è rintanato a Hong Kong, rilascia interviste fiume allo stesso Guardian che ha ospitato le sue rivelazioni, dice che sperava che con Obama arrivasse un mondo migliore per la privacy del cittadini americani, ma che invece tutto è andato sempre peggio, molto peggio e lui è di­sposto a rovinare la famiglia, la vita della sua compagna, perde­re le sue finanze e l’assicurazio­ne sulla salute, tutto pur di dire la verità al suo popolo e al mon­do intero.
In genere i secchioni sono cre­tini, ma Edward non è un creti­no perché si sente un idealista: «Non mi nascondo perché non ho fatto nulla di male e anzi ho fatto quel che mi ha dettato la coscienza: informare il pubbli­co, il mondo, i cittadini america­ni. Siete tutti spiati, il governo controlla tutti i vostri messaggi e la vostra vita». E dunque sia­mo nel campo del fattore uma­no, piuttosto che in quello della talpa. Edward si sente un crocia­to del­la società americana origi­naria basata sui cardini della li­bertà, del diritto a vivere e cerca­re la propria strada verso la feli­cità, un sentiero che si snoda an­che nelle pieghe del secondo emendamento della Costitu­zione americana che autorizza i cittadini dell’Unione a portare armi, anche per difendersi dal governo, e costituire delle mili­tias partigiane contro lo strapo­tere del presidente.
Quello è l’emendamento che manda in bestia mezzo mondo ogni volta che in Usa un pazzo imbraccia un fucile a ripetizio­ne e fa una strage. E ogni volta si riaccende il dibattito sul diritto del singolo a difendersi comun­que contro il potere, certamen­te non solo impugnando un fucile a ripetizione o una pistola, ma anche con l’arma della di­sobbedienza. Il giovane Snowden fa parte dell’ultima generazione di ribelli al potere governativo in nome dello spiri­to della rivoluzione e della Co­stituzione, una generazione che aveva mosso i primi passi sotto George W. Bush a causa della guerra in Irak e che poi si è sviluppata sotto la presidenza di Barack Obama.
Diciamo che due terzi dell’America sono oggi soddisfatti delle iniziative del presidente, il quale autorizza personalmen­te gli omicidi mirati di terrori­sti, fra cui anche cittadini ameri­cani di origine asiatica. Obama fa abitualmente ciò che Bush ancora non aveva il potere di fare: leggere un dettagliato rap­porto su un supposto terrori­sta, decidere di ucciderlo e far partire un drone che colpirà il bersaglio sotto gli occhi delle te­lecamere che trasmettono nel­la Situation room della Casa Bianca.
Nel luglio del 2006 fece scal­pore una legge fatta passare da Vladimir Putin alla Duma con cui si autorizzava il presidente russo a consentire l’eliminazio­ne f­isica di chiunque fosse con­siderato «nemico della patria russa» e in qualsiasi luogo si trovi. Gli Stati Uniti hanno il lo­ro apparato di legittimazione nel Patriot Act passato dal Congresso americano su richiesta del presidente Bush a un mese e mezzo dall’undici settembre 2001, in forza del quale gli Stati Uniti, considerandosi un Pae­se in guerra contro il terrori­smo, usano leggi di guerra che prevedono il monitoraggio di tutte le forme di comunicazio­ne civile fra i cittadini. Come sappiamo, sono stati in partico­lare gli utenti della compagna Verizon a cadere sotto lo spot del potere. Ma il potere affer­ma, per bocca dello stesso Obama, che questo è l’unico modo per prevenire attacchi, di aver­ne anzi sventati almeno due di grandi proporzioni grazie al monitoraggio e aggiunge che in realtà non vengono ascolta­te le conversazioni ma soltan­to incrociati i dati di partenza e arrivo.
È a questo punto che un tec­nico civile, trovandosi in mezzo alle macchine tecnologiche usate dall’ultima versione del grande fratello, sente il richia­mo del ribelle, impersonato nella mitologia americana da Yankee Doodle che se ne va al­la g­uerra su un ronzino spelac­chiato e la piuma sul cappello, e fa il grande passo: rivela, sput­tana, mette allo scoperto, im­barazza e si chiama addosso la maledizione del potere, sicché annuncia di voler fuggire in Islanda, l’isola felice dei nuovi partigiani del web libero e del­la tutela delle libertà.
Così facendo Edward Snowden incarna un’altra ico­na: quella di Robert Redford nei Tre giorni del Condor dove un altro contrattista della Cia, chiamato soltanto a leggere romanzi e a riassumerne le tra­me, si trova coinvolto nel gioco del potere che lo porterà a con­segnare il suo dossier non al Guardian di Londra, ma al New York Times. Condor-Re­dford scoprirà però che il suo gesto plateale sarà del tutto inutile: «Cretino - gli dice il di­rettore della Cia nell’epilogo del film - tu pensi davvero che pubblicheranno? E poi, am­messo pure che pubblichino: che cosa pensi che cambi?».
Oggi è Edward nei panni di Condor. Ha pubblicato e si aspetta che il mondo cambi, che la tutela della privacy prevalga insieme alla tutela della libertà. Ma davvero cambierà qualcosa?
E poi, qualcuno dirà che il giovane Snowden, umana­mente non troppo lontano dal giovane Holden di Salinger, forse non è poi questo campio­ne duro e puro d’idealismo, e che magari ha avuto rapporti con i cinesi, o con gli iraniani, o con i nordcoreani, chi può dir­lo. Certo è che la Cia, un po’ per desiderio di punirlo e un po’ per vederci chiaro, vorrebbe mettergli le mani addosso e chiuderlo in uno sgabuzzino per interrogarlo. Ed è così che Snowden ora incarna l’ultimo mito americano: l’uomo «on the run», il cittadino in fuga braccato dalle polizie e dagli sceriffi.