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 2013  giugno 11 Martedì calendario

LA CADUTA DELL’EROE MALEDETTO, DAI PASCOLI ALLA PORSCHE

La fine di Graziano Mesina non è nell’arresto di ieri. È nell’aver precipitato la sua storia ribelle - e romantica perfino nella violenza - in una grande organizzazione dal sapore mafioso, a caccia di ricchezza bruciando giovani e famiglie della sua isola, di una Sardegna della quale si sentiva emblema nel male e nel bene. Mesina del Supramonte, Mesina dei sequestri e delle evasioni leggendarie, guida turistica nella natura selvaggia dell’Anonima Sarda, testimonial di una Polisportiva giovanile, precipita con una trentina di soci nel crescendo di un traffico di eroina, cocaina, extasy. I suoi boschi e le sue rocce, dove raccontava alle turiste eccitate fughe e sparatorie, le ha irrigate a stupefacenti come le strade di città.

Grazianeddu ha 71 anni e una quarantina li ha trascorsi tra carcere e domiciliari. Pasquale Mesina e Caterina Pinna lo misero al mondo a Orgosolo il 4 aprile 1942, penultimo di undici figli. In quarta elementare prese a sassate il maestro, lasciò la scuola, andò servo pastore come i fratelli. Primo arresto nel 1956, a 14 anni: lo trovano con un fucile rubato. È un crescendo. Lo fermano perché sta sparando per aria, forza la porta della camera di sicurezza e se ne va sulle montagne. Convinto dalla famiglia, si costituisce. Mentre è in prigione viene rapito un commerciante, poi trovato ucciso. Tre fratelli di Grazianeddu sono arrestati, uno riesce a fuggire e a trovar prove d’innocenza della famiglia. L’anno dopo in un bar qualcuno spara a un pastore, zio di chi accusava i Mesina. Sospettano Graziano, che finisce condannato a sedici anni e continua a ripetere che non c’entra.

Lo processano per il tentato omicidio di un vicino di pascolo che gli ha ucciso la cagna custode del gregge e ladra di uva. Da qui date, paesi e città, tribunali e carceri sono un itinerario di imputazioni e fughe saltando dal treno, uscendo da una finestra d’ospedale, scalando il muro di cinta. È la lunga stagione di latitanze e sequestri di persona, talora romanzeschi (proprietario terriero rilasciato sulla promessa che pagherà), talora spettacolari (commerciante bloccato da banditi travestiti da poliziotti). Un elenco molto lungo. In questi ultimi anni, lo sguardo fermo ma eccitato, da una collina di Oposidda indicava ai turisti la vallata dove nel giugno 1967 piombarono i «baschi blu»: «Erano seimila, un esercito. Li guardavo dall’alto». Fu battaglia cruenta, lui protetto da uno zaino riempito di pietre per farne giubbotto antiproiettile: «Io da solo avrò sparato 800 colpi. Loro facevano fuoco con i fucili mitragliatori. La gente di Orgosolo guardava il combattimento affacciata alle finestre». Morirono due agenti («me li attribuirono, ma si spararono fra loro») ed è ferito il suo amico Miguel Atienza: «Me lo caricai sulle spalle fino alla montagna. Poi scesi a sequestrare un dottore per curarlo, ma non servì a nulla».

La latitanza come nobile professione, il conflitto a fuoco come autodifesa. C’è sempre stato del fascino nel suo offrirsi quieto («penso di sapere chi ha ammazzato i miei fratelli e non mi sono costituito parte civile, nemmeno li ho toccati. Non sono vendicativo») e giustiziere («ho visto miserabili diventare miliardari sulla pelle degli altri, trattare da pezzenti i servi pastori»). Parlò a lungo del carcere e dell’ergastolo quando ci incontrammo ad Asti, dove abitava a fine ’92, ottenuta la libertà condizionale. Era uscita la sua autobiografia, «Io, Mesina», scritta con l’avvocato Gabriella Banda e con l’inviato del Giorno Gabriele Moroni. Un libro dove

Grazianeddu svelava passaggi di nera («fu la mia intermediazione a far liberare il piccolo Farouk Kassam») e politica (contatti con Giangiacomo Feltrinelli, con i Servizi»). Guardandolo si capiva come la vanità possa divampare in carisma. Narrava di servizi segreti e quando lì, appena fuori Asti, trovarono armi nascoste in casa e lo riportarono in prigione, ripeté: «Hanno organizzato tutto i servizi per vendicarsi della storia di Farouk».

Indro Montanelli - che si battè per la grazia concessa da Ciampi -scriveva nella prefazione: «È l’ultimo reperto vivente di un mondo che non c’è più. Se potessi lo metterei sotto vetro». Aveva ragione. Tornato in Sardegna, guida turistica, testimonial di giovani atleti, viandante della fama (pochi giorni fa firmava autografi a Gorizia), Grazianeddu, nonostante la sua istintiva e selvaggia intelligenza, si è lasciato risucchiare dal mondo nuovo e per la prima volta nella sua vita ha tradito. Ha tradito se stesso, l’eroe maledetto che amava essere.