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 2013  giugno 11 Martedì calendario

IL LATO OSCURO DI VERONESI «HA UN FIGLIO CON UN’ALTRA»

Sultana Veronesi che oggi ha di nuovo, come da pic­cola, il «coraggio» di usare il suo nome senza più «addomesticarlo» in Susanna o «costrin­gerlo» in Susy, di coraggi ne ha tanti. Se non fosse stato per l’ulti­mo, quello di scrivere un libro nel quale racconta tutto, ma pro­prio tutto, tradimento incluso, del suo famosissimo marito Umberto (Il cuore, se potesse pensare, Rizzo­li), ce lo saremmo perso l’eroi­smo silen­zioso di que­sta signora.
Forse ci sarem­mo pe­rsi del tut­to la signora. Per­ché delle mogli di certi uomini alle volte si parla troppo poco e dei lati oscuri di certi uomini anco­ra meno.
Per esempio Sultana, a undici anni, essendo un’ebrea turca, finisce a Bergen Belsen e poi miracolosamente ne esce, anche se lasciandoci un rene e la serenità di tutte le sue notti a venire. Per esempio Sulta­na, dopo Bergen Belsen, il rene e un sacco di altre cose, si laurea in medicina, con una specialità in pediatria. Per esempio Sultana, di bambini, nella sua vita, con suo marito Umberto, ne fa sei. E sì, anche questo è coraggio. Solo che l’oncologo di fama interna­zionale è lui. Il personaggio ama­to dalla «Milano bene» è lui, l’ai­tante, altissimo medico che una volta alla settimana si nutre solo di sorbetto, è lui. Sultana sta da qualche parte nell’ombra. Cer­to, ha delle bellissime perle alla prima della Scala, è competen­te, elegante, «sempre a posto» ogni volta che adorna il braccio del famosissi­mo consorte. Ma di Sultana non si parla. Non si parlava. Fino ad oggi. Oggi che ha dato alle stam­pe il racconto di una vita, prima e durante ma soprattutto durante l’in­contro con l’uomo che, nel bene e nel male, le ha cambiato la vita. La cosa migliore di tutta que­sta faccenda è che quello che poi è diventato un libro, è in realtà nato come un diario. Era ai suoi figli e ai suoi nipoti (gli unici già in grado di sapere quanto peso avesse, abbia e abbia avuto per tutta la vita, quella minuta mora accanto a Umberto) che Sultana voleva raccontare ogni cosa. E solo a loro. Ma un giorno un’ami­ca di sua figlia le consigliò: «Ma perché non ci fai un libro, con tut­ta questa roba?». E libro fu. In due stesure a dire il vero: la pri­ma, ritirata, e questa, un po’ più mansueta. Grazie alla quale og­gi sappiamo anche di quella vol­ta in cui, «in macchina Umberto, continuando a fissare la strada mi disse: “ti devo confessare una cosa, ho un figlio di quattro an­ni”» e lei si sentì «gelare».
Ci sono donne che chissà per­ché restano «invisibili» per trop­pi anni e uomini che chissà per­ché, tradendo ci tradiscono tut­ti, più di altri. Ma poi lo sappia­mo benissimo il perché, Sultana è rimasta «opaca» dietro al suo uomo per una vita, ma sappia­mo che opaca non poteva essere se era stato proprio lui a sceglier­la; e sappiamo altrettanto bene che nell’immaginario comune un medico, e quel medico in par­ticolare, è qualcuno che abbia­mo bisogno di immaginare in­tonso come il camice al quale ca­diamo addosso.
Invece la vita è passata, passa normale anche su quelli come lo­ro. Lucida e sporca e inverte le parti. Che poi, a guardarli bene gli occhi di Sultana, si poteva ca­pire tutto: due carboncini severi in mezzo alla faccia fiera.
«In fin dei conti, poi cosa avrò mai scritto?! Il libro è pieno di elo­gi per mio marito, e tutti sapeva­no già tutto; ma era importante che i miei figli e i miei nipoti sa­pessero...». Si riferiva «all’altra», a quell’oncologa bionda con la quale la gente era abituata a ve­dere suo marito.
Che si alternava a lei agli ap­puntamenti con quella Milano bene che le faceva i sorrisi e per la quale Sultana indossava di buon grado le perle e andava dal parrucchiere e usciva ad adorna­re o forse a «sfoggiare» quel famosissimo marito bello, alto e «ad­domesticatamente» infedele, in fuga ma sotto controllo. ...Per esempio Sultana, a undici anni, essendo un’ebrea turca, finisce a Bergen Belsen e poi miracolo­samente ne esce... Cosa sarà mai un capitolo da dedicare all’adul­terio, in ottantun’anni vissuti davvero pericolosamente? Co­sa sarà mai un settimo «figlio» do­po averne avuti sei, e a ver temu­to per la vita di uno di loro (dopo che per la propria, da bimbetta)? Una bionda imprevista è una lite di condominio. Specie se la si rie­sce a infilare in un capitolo. Chis­sà perché Sultana non se l’è «per­messo» prima quel nome, per i tanti anni «in mezzo» alla sua vi­ta: c’è il suo destino in quel no­me.