
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Si guarda con malinconia al voto di ieri: sono andati alle urne il 24,6 per cento degli aventi diritto, il 6 per cento in meno dei pochi che avevano partecipato al primo turno. Roma è addirittura scesa al 23,49%, un calo leggermente inferiore a quello del resto d’Italia, ma solo perché, tendendo a zero, è evidente che la flessione frena. A Roma, in particolare, Alemanno sperava di recuperare la posizione su Marino proprio portando al voto gente che al primo turno s’era astenuta.
• Sarà anche un effetto dell’indicazione data dal Movimento 5 Stelle, che a Roma ha raccomandato di non appoggiare nessuno dei due concorrenti.
Anche il quarto candidato, Alfio Marchini, non ha voluto apparentarsi con nessuno. Questo ha aiutato la poca voglia di tutti. E però non è solo questione di Roma, perché la gente è rimasta a casa o è andata in gita praticamente ovunque. Guardi la Sicilia, dove si sta votando il primo turno delle comunali e Grillo era impegnatissimo a predicare (ha persino detto, in un crescendo che non si sa dove potrà finire, che «il Parlamento è morto, lo abbiamo aperto come una scatola ed era vuoto»): Ragusa 10,9% contro il 13,95 dell’altra volta, Catania 12,04 (12,01), Messina 14,14 (13,85), Enna 11,03 (10,33). Eccetera, non voglio tediarla con un subisso di percentuali. Ricordiamo che il ballottaggio riguarda 11 capoluoghi di provincia: Ancona, Avellino, Barletta, Brescia, Iglesias, Imperia, Lodi, Roma, Siena, Treviso e Viterbo. Oggi alle 15.00 si chiude, e una mezz’ora dopo dovremmo già avere idea di quello che è successo.
• Come funziona col voto disgiunto? Se uno vota il sindaco di destra e la lista di sinistra e a un certo punto risulta maggioritaria una lista che non è apparentata col sindaco vincente?
Le liste collegate al sindaco vincente si spartiscono il 60% dei seggi. Le altre il resto. Nei comuni con meno di 15 mila abitanti (dove non si va al ballottaggio e vince semplicemente il candidato che ha preso più voti) le liste collegate al sindaco ottengono i due terzi dei seggi. Per un certo periodo si è immaginato che il sistema delle elezioni comunali potesse essere adottato anche per le politiche nazionali («sindaco d’Italia»). Idea mai presa seriamente in considerazione. Conviviamo così con sei sistemi elettorali: quello per i Comuni, quello per le Province, quello per le Regioni, quello per la Camera, quello per il Senato, quello per il Presidente della Repubblica.
• Tornando alla faccenda dell’assenteismo: il sindaco di Firenze, però, che ieri s’è fatto intervistare in pubblico, ha riempito il Salone dei Cinquecento.
Intanto non ha rischiato di farsi intervistare in piazza. E comunque è un caso diverso: Matteo Renzi è secondo in classifica col suo libro, è popolare, è un personaggio circondato da un minimo di passione (quella che sembra mancare del tutto in queste comunali) e, soprattutto, costituisce il casus belli del suo partito. La questione in questo momento infatti è: ha intenzione di candidarsi per la segreteria o no? Si sa che il sindaco di Firenze ha sempre pensato se stesso a Palazzo Chigi, anche la partecipazione alle primarie dell’anno scorso era stata decisa perché, se avesse vinto, sarebbe stato automaticamente candidato alla presidenza del Consiglio. Come comportarsi, invece, se la segreteria del partito non introduce più al premierato? I democratici hanno intenzione di cambiare lo statuto su questo punto, cioè di scindere la figura del capo del governo da quella del capo del partito. Soprattutto, a Palazzo Chigi c’è Enrico Letta, che Renzi non può considerare né un avversario né un soggetto politico da rottamare.
• I due si sono incontrati.
Sì, sabato scorso. E l’esito del colloquio è noto. Letta ha garantito a Renzi il suo appoggio, se Renzi deciderà di candidarsi alla segreteria. Poi ha aggiunto: «Dopo di me, tocca a te». Renzi ha risposto: sarò leale con il governo, cioè non farò niente per farlo cadere. Però bisogna evitare che, a forza di rinvii e di mezze decisioni, il governo si trasformi in un governicchio.
• Che cosa ha aggiunto nell’intervista pubblica di ieri?
Ha detto chiaro e tondo che l’idea di far slittare il congresso non esiste. La decisione finale sulla candidatura alla segreteria sarà presa solo dopo che saranno state fissate le regole, e non prima. Se le regole saranno come quelle delle ultime primare, cioè, Renzi rinuncerà a correre. In altri termini: il sindaco di Firenze vuole in qualche modo che sia il partito a chiamarlo e, poi, a sostenerlo. Ha quindi confermato il suo appoggio al presidente del Consiglio: «Se Letta cambia l’Italia, io sto con Letta». Infine: è contrario al voto che renda ineleggibile Berlusconi: «Allora dovevamo farlo subito. Non è che dopo 19 anni che ti batte ti inventi il giochino per tenerlo fuori del Parlamento. Noi vinceremo quando vinceremo le elezioni, non quando squalificheremo l’avversario».
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