Storia D’Italia,Rizzoli, 1959, 10 giugno 2013
Tags : La conversione del debito pubblico
La conversione del debito pubblico nel racconto di Montanelli
Storia D’Italia,Rizzoli, 1959
Il debito pubblico ammontava circa ad otto miliardi di lire, che per quei tempi era una cifra da capogiro, e rendeva il cinque per cento: cioè tanto ne ricavava come interesse chi investiva i suoi risparmi in titoli di stato. Il che significava, per lo stato, un esborso annuo di quattrocento milioni, considerato sproporzionato alle possibilità del nostro bilancio. Per ridurlo, non c’erano che due modi: quello ipocrita e disonesto di svalutare la moneta inflazionandola, cioè pagando un cinque per cento che come capacità di acquisto ne valeva molto meno, o ridurre scopertamente il tasso d’interesse, col pericolo che i risparmiatori, non trovandone più conveniente l’investimento, corressero a convertire i loro titoli mettendo in condizioni di insolvibilità un Tesoro che a otto miliardi non poteva far fronte. Già Zanardelli aveva optato per la seconda soluzione, e Sonnino l’aveva avviata col suo Ministero del Tesoro, Luzzatti. Sebbene ora questi fosse fuori dal governo, Giolitti lo incaricò di portare avanti l’operazione. Un consorzio internazionale di Banche mise 400 milioni a disposizione del nostro Stato per far fronte ad un eventuale crollo dei titoli Italiani nelle Borse estere. Ma il crollo non ci fu, come all’interno non ci fu corsa al rimborso. Giustamente Luzzatti dichiarò alla camera che l’eroe di quella operazione era il contribuente italiano, il quale si era lasciato decurtare la rendita dei suoi titoli dal cinque al tre e mezzo per cento con alto spirito patriottico. Noi crediamo che il patriottismo c’entrasse poco. Timido e renitente al rischio, questo risparmiatore seguitava a preferire una rendita decurtata, ma sicura, a quella azzardosa dei titoli industriali.
Il debito pubblico ammontava circa ad otto miliardi di lire, che per quei tempi era una cifra da capogiro, e rendeva il cinque per cento: cioè tanto ne ricavava come interesse chi investiva i suoi risparmi in titoli di stato. Il che significava, per lo stato, un esborso annuo di quattrocento milioni, considerato sproporzionato alle possibilità del nostro bilancio. Per ridurlo, non c’erano che due modi: quello ipocrita e disonesto di svalutare la moneta inflazionandola, cioè pagando un cinque per cento che come capacità di acquisto ne valeva molto meno, o ridurre scopertamente il tasso d’interesse, col pericolo che i risparmiatori, non trovandone più conveniente l’investimento, corressero a convertire i loro titoli mettendo in condizioni di insolvibilità un Tesoro che a otto miliardi non poteva far fronte. Già Zanardelli aveva optato per la seconda soluzione, e Sonnino l’aveva avviata col suo Ministero del Tesoro, Luzzatti. Sebbene ora questi fosse fuori dal governo, Giolitti lo incaricò di portare avanti l’operazione. Un consorzio internazionale di Banche mise 400 milioni a disposizione del nostro Stato per far fronte ad un eventuale crollo dei titoli Italiani nelle Borse estere. Ma il crollo non ci fu, come all’interno non ci fu corsa al rimborso. Giustamente Luzzatti dichiarò alla camera che l’eroe di quella operazione era il contribuente italiano, il quale si era lasciato decurtare la rendita dei suoi titoli dal cinque al tre e mezzo per cento con alto spirito patriottico. Noi crediamo che il patriottismo c’entrasse poco. Timido e renitente al rischio, questo risparmiatore seguitava a preferire una rendita decurtata, ma sicura, a quella azzardosa dei titoli industriali.
Indro Montanelli