Francesco Guerrera, La Stampa 10/6/2013, 10 giugno 2013
L’ECONOMIA È APPESA ALLA FED MA L’EUROPA NON SEGUIRÀ GLI USA
L’economia mondiale è aggrappata all’elicottero di Ben Bernanke. Il capo della Fed, che in un famoso discorso parlò di «lanciare soldi da un elicottero» per stimolare l’economia, è l’uomo più amato e più odiato da mercati ed investitori in questo momento.
Dopo quasi cinque anni passati a pompare denaro nelle tasche degli americani (o quantomeno del sistema finanziario Usa) e ad «ispirare» colleghi quali Mario Draghi e gli scatenatissimi banchieri centrali giapponesi a fare lo stesso, «Helicopter Ben» si sta avvicinando al bivio.
Prima o poi, la Fed dovrà cominciare a togliere le molte stampelle che ha offerto alla malaticcia economia americana per evitare bolle inflazionistiche. I mercati preferirebbero «poi» ma sono terrorizzati dall’idea che Ben e i suoi agiscano «prima».
Nelle ultime settimane, questa dicotomia è diventata un’ossessione di investitori grandi e piccoli, alimentata dalle parole tipicamente sibilline di Bernanke e degli altri signori della Fed. I mercati azionari, del debito e delle monete ne stanno risentendo in maniera pesante.
I mesi dei record incredibili, dell’ascesa quasi verticale del Dow Jones Industrial Average – il padre-padrone degli indici azionari – del calo a picco degli spread per i paesi della «periferia» europea (sì, c’è anche l’Italia, purtroppo) sono ormai nel passato. Il presente è una montagna russa in cui il dollaro può calare del 2% in 20 minuti – come è successo la scorsa settimana – senza ragioni particolari. In cui il Nikkei – l’indice guida del Giappone – crolla del 5% in un giorno ed in cui i buoni del Tesoro americano – il «bene rifugio» per chi ha paura del futuro – sono di nuovo in voga.
Come diceva Bob Dylan «the times, they are a-changin’» – i tempi stanno cambiando. Dall’era della certezza che Ben e Mario avrebbero stampato i soldi per farci continuare a crescere all’era della fragilità e dell’incertezza: «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».
Il Sommo Poeta ci può aiutare a spiegare questo momento quasi storico della finanza mondiale. Gli investitori, i banchieri e i piccoli risparmiatori stanno percorrendo il viaggio dantesco ma al contrario. Gli anni del dopo-crisi sono stati il Paradiso: politiche monetarie favorevolissime, soldi come se piovessero da un elicottero e parole rassicuranti da Washington, Francoforte e Tokyo.
Certo, l’economia soffriva ma fare soldi nei mercati era abbastanza semplice. Bastava comprare i beni che più beneficiavano dallo stimolo: azioni, case e obbligazioni «rischiose» ma che promettevano bei profitti come i «junk bonds», il debito «spazzatura» di società non in buona salute.
L’unico problema erano shock esterni, come la crisi europea del debito, l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima o i macelli della politica italiana. Ma all’interno del sistema finanziario – da Wall Street alla City di Londra a Roppongi Hills – le regole erano chiare: «Don’t fight the Fed» - non vi opponete alla banca centrale più importante del mondo quando ha le macchine da stampa accese.
Non poteva durare per sempre. Uno stimolo di queste proporzioni, coordinato attraverso tre continenti, è una misura eccezionale, soprattutto per istituzioni come la Fed e la Banca Centrale Europea che di solito sono cautissime. «I banchieri centrali non sono come me e te» mi ha detto uno dei veterani di Wall Street questa settimana. «Sono gente unica, preoccupata di una cosa ed una cosa sola: l’inflazione».
La paura recondita di Bernanke e Draghi e di tutti i loro consiglieri (e dei politici che li controllano) è sempre la stessa: tutto questo denaro creerà inflazione ed altre bolle. O, più esplicitamente, stiamo attenti perché non vogliamo passare alla storia come quelli che hanno creato le condizioni per la prossima crisi (capito Dott. Greenspan?).
Ed è così che, paradossalmente, il recente miglioramento dell’economia americana ha fatto discendere i mercati nel Purgatorio, il limbo attuale in cui non sanno se l’elicottero di Ben continuerà a volare o atterrerà.
Gli esperti sono spaccati a metà: alcuni dicono che la Fed sta solo preparando il terreno ma che non farà nulla per mesi; altri giurano che l’inizio della fine dello stimolo è ormai vicinissima.
Quello che è certo è che un ritiro indolore da parte delle banche centrali sarà difficilissimo, se non impossibile. Bernanke e i suoi parlano di un calo graduale e lento dello stimolo – la parola sulla bocca di tutti a Wall Street è «tapering» – per evitare che l’economia vada in crisi d’astinenza.
Sentirli spiegare con toni melliflui i loro piani mi ricorda gli esami del sangue: c’è sempre un’infermiera carina e gentile che ti rassicura che non farà assolutamente male, che i nuovi aghi sono così piccoli che non sentirai nulla. Ma non è mai vero: un ago nella vena fa sempre male.
Ritirare l’ago dello stimolo dalla vena dell’economia mondiale avrà lo stesso effetto, soprattutto perché i mercati sono agitati e si muovono in maniera inconsulta al minimo cenno di «tapering».
Non siamo, però, ancora all’Inferno ed è anzi possibile evitarlo. La situazione peggiore sarebbe un ritiro prematuro dello stimolo che fa crollare l’economia ed i mercati, disfacendo il progresso degli ultimi anni. Ma non è un risultato obbligato.
Se l’ala più ottimista di chi fa pronostici ha ragione, gli Usa sono sull’orlo di una crescita robusta e sostenibile, anche senza gli aiuti della Fed. I dati sulla disoccupazione usciti venerdì – non ottimi ma nemmeno terribili – sono stati incoraggianti.
Persino il Giappone sembra pronto a rialzarsi dopo 20 anni di ristagno grazie all’«Abenomics» – la politica economica super-aggressiva del nuovo primo ministro Shinzo Abe.
L’Europa è un’altra storia. Per sperare nella crescita europea nei prossimi anni non basta essere ottimisti, bisogna essere panglossiani. L’unica speranza è che la ripresa americana e la forza dei mercati emergenti - guidati, se ce la fa, dalla Cina – spingano le esportazioni italiane, spagnole e tedesche, colmando il vuoto lasciato dalla domanda interna. Non è impossibile ma non è nemmeno molto probabile.
Se Ben vuole veramente scendere dall’elicottero, speriamo che salga su una locomotiva.