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 2013  giugno 10 Lunedì calendario

SE KARLSHRUE TIENE IN OSTAGGIO L’EUROPA – «Sì

ma…», è stata in passato una delle risposte preferite della Corte Costituzionale tedesca. Questa volta lo scenario è diverso, perché i togati vestiti di rosso possono dire e non dire. Devono aprire la strada ad una sentenza che arriverà probabilmente in autunno. Sono chiamati a stabilire se erano ammissibili i ricorsi contro il piano annunciato a settembre dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Possono decidere se delegare il giudizio alla Corte di Giustizia europea, compiendo un significativo passo indietro. Attualmente si sa solo che sono molto divisi tra loro.
Non sembra che le inquietudini dei mercati e le preoccupazioni di chi tenta di costruire (o ricostruire) l’Europa si percepiscano con grande nitidezza a Karlsruhe. Ma tutto lascia credere che esista almeno una forte consapevolezza dell’importanza della posta in palio a poco più di tre mesi dalle elezioni tedesche.
«Se i giudici costituzionali vogliono fare politica, si candidino per il Parlamento», ha ringhiato qualche settimana fa il ministro degli Interni Hans-Peter Friedrich al presidente della Corte, Andreas Vosskuhle, perplesso sulla praticabilità di aumentare le misure anti-terrorismo dopo l’attentato alla maratona di Boston. Ma lui, il giurista quarantonovenne che ha rifiutato di candidarsi per la presidenza federale, non è sempre disposto in realtà ad essere il nemico dello status quo. Lo è stato in altre occasioni nel passato, dall’alto dei suoi quasi due metri di statura e della autorevolezza indiscutibile dell’organismo che dirige. Nei giorni scorsi, per esempio, i togati di Karlsruhe hanno definito anti-costituzionale il trattamento fiscale diverso esistente nel matrimonio e nelle unioni civili tra persone dello stesso sesso mettendo il governo in difficoltà. Molto scomodo per i maggiori partiti, che infatti hanno deciso di riprovarci, è stato anche il pronunciamento contro la soglia di sbarramento nel sistema di voto delle elezioni europee.
Ma il dibattimento che inizia domani è un’altra cosa. Si tratta di decidere, in ultima istanza, se fare crollare o lasciare sopravvivere il progetto di integrazione che ha portato alla nascita della moneta unica. Perché le conseguenze di un no alla Bce sarebbero catastrofiche.
I supremi giudici, tra l’altro, non guardano in faccia a nessuno quando si tratta di stabilire gli obblighi e i limiti imposti dalla Costituzione. Lo si è capito nel settembre scorso, quando arrivò, dopo settimane di ansia, il tanto atteso via libera all’Esm, il nuovo fondo salva-Stati finanziato dai governi dell’eurozona. Un sì «condizionato» ad un tetto per gli impegni tedeschi e ad un maggiore coinvolgimento del Bundestag nelle politiche di salvataggio europee.
Proprio in quella occasione fu però deciso di discutere se il piano Draghi – cioè la possibilità di acquistare in modo illimitato titoli di Paesi che ne facciano richiesta e si impegnino contemporaneamente per le riforme strutturali – mettesse in questione i termini di adesione della Germania. «L’Esm è salvo, ma il ruolo della Bce certamente no», fu il commento di Kai von Lewinski, docente di diritto alla Frei Universität di Berlino.
Adesso è arrivato il momento di proseguire quella partita. Anche se le previsioni non sono negative, l’esame cui viene sottoposto un intervento che ne ha evitato il tracollo, pur non essendo mai stato attuato, mette di nuovo l’Europa in ostaggio davanti agli occhi di tutti. E’ una situazione anomala, che forse non può permettersi ancora a lungo.
Paolo Lepri