Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 10/6/2013, 10 giugno 2013
PARLAMENTARI, SETTE IN CONDOTTA
Mancano solo gli aeroplanini di carta che volteggiano negli emicicli di Camera e Senato. E poi la somiglianza tra il Parlamento e un’aula scolastica può dirsi perfetta. Perché nel luogo più alto della politica, quello incaricato di rappresentare la volontà del popolo e di darne piena attuazione, il tempo passa lento tra scambi di insulti e battutine sciape, citazioni latine inventate e scuse alla Presidenza. Si bivacca, insomma, in una ricreazione senza tempo, con le mani in tasca e i compiti mai finiti. Il libro di Lanfranco Palazzolo, Il Parlamento inutile, stupidario parlamentare (I libri del Borghese) ne offre una visione sintetica. Palazzolo è un giornalista di Radio Radicale, per mestiere ascolta tutti i dibattiti, osserva i battibecchi, deve annotare il nome e il gruppo parlamentare del deputato o della deputata che parla. Ha un punto di osservazione privilegiato che gli ha consentito di collezionare una raccolta di frasi fatte, di turpiloquio e figuracce sconosciute ai più.
Parolacce a go go
La parolaccia è un tratto comune del linguaggio. La si pronuncia in modo informale quando la lingua non è sorvegliata. Il linguaggio parlamentare ne è stato sedotto. Nell’indice del volume si può scorrere l’elenco delle parole chiave. Si scopre così che la volgarità più frequente ruota attorno alla parola “Cazzo”. Viene declinata in più versioni: “Come c. si chiama”; “Ma che c. dici”; “Testa di c.”; “ma che c. vuoi” e via ad libitum. Non mancano, però, nemmeno “coglione”, “merda” (pezzo di... figura di...) “stronzo”, “vaffanculo” e, trattandosi dell’ultima legislatura, quella dominata dalle “cene eleganti” di Silvio Berlusconi, “puttana e puttane”. Eppure i turpiloqui di Beppe Grillo, i suoi “vaffaday” o la battuta su “qualche zoccola” portata in Parlamento, pronunciata in un’aula di commissione al Senato, avevano fatto gridare allo scandalo internazionale. I parlamentari poi, alla faccia dell’educazione, si interrompono in aula come si interrompono a “Porta a Porta” o a “Ballarò”. “La nascita della seconda Repubblica - sottolinea l’autore - ha portato con sé un nuovo dizionario della politica ma anche una marea di insulti”. Le baruffe non hanno colore politico. Emidio Quartiani, del Pd, al vicepresidente Lupi (Pdl): “Chiudi la votazione”, “vergognati”, “chiudi”. Lo ripete tre, quattro, cinque volte fino a che Lupi replica: “Chiuderò quando l’onorevole... mi avrà detto di aver votato, scusatemi”. La risposta è immediata: “Ma vaffanculo”. Il rumore di fondo non cambia, da destra e sinistra si alza un brusìo sottile, un venticello leggero che si diffonde per l’aula e offre il ritmo della politica italiana: “Stronzo”, “cialtrone”, “comunista”, “cretino, anzi stupidotto”, “che cazzo vuoi”, “ti sfido a duello”, “sei scemo, scemo”, “coglione” “pagliaccio”, “buffone”. Tutti contro tutti, l’insulto è bipartisan e il dileggio super partes.
Luca Volonté dell’Udc parla di “tante ragazzine di 12-13-14 anni che vengono stuprate dai coetanei”. E allora la deputata Gatti del Pd tiene a precisare: “Italiani”. No, “Rumeni” urla Bitonci della Lega Nord. “Rumeni! Rumeni!”, ringhia la collega padana Goisis. “Vergogna! Vergogna”, risponde dall’altro lato Anna Paola Concia, che si becca un “Taci rincoglionita” dal leghista Buonanno. Come se si fosse all’angolo del mercato o in lite per un sorpasso azzardato, le parole rimbalzano come palline impazzite in cerca di un posto per accomodarsi. Il pidiellino Stracquadanio, tutto serio, prende la parola, saluta la presidenza, ringrazia a poi si diverte a far notare a un’aula distratta che le militanti del Pdl vengono insultate, nei gazebo e ovunque, a colpi di “puttane”. Ma questo non indigna quanto invece l’insulto “lesbica di merda”. In questo clima sembra trovarsi a proprio agio il ruspante Ciarrapico che, al Senato, dopo aver riservato un po’ di bordate a Gianfranco Fini, in procinto di fondare un partito “della kippah” - Ciarrapico è come Stranamore, non riesce a nascondere l’indole più intima – se la prende con “quei cento figli di puttana” che lo hanno bloccato all’ingresso di palazzo Madama. Erano studenti in sit-in ma Ciarrapico, si sa, non va per il sottile. Si adegua anche il mite deputato Pd, Andrea Sarubbi, che prende la parola per dire alla presidenza, dopo un lungo giro di parole, come fosse un segreto rivelato alla maestra, che “guardi, glielo posso assicurare sul mio onore, ho sentito con queste orecchie dai banchi della Lega un collega che ha detto alla collega, “Codurelli fatti scopare”. Poi dice che uno si butta sull’antipolitica, avrebbe detto Totò.
Ma ci sono anche gli strafalcioni. Il caro Scilipoti, mai citato abbastanza, si lancia in un dotto intervento sulla Bce. Lui, povero trasformista di provincia, additato come l’emblema del traditore, ha da farsi perdonare tutto. E così, dà sfoggio di eloquenza ed eruzione finanziaria. Discetta di aumenti di capitale, di “vocazione sociale” della Bce, intesa come Banca centrale europea. Quando termina di parlare, però, il Pd Gozi fa sommessamente notare che non si stava discutendo dell’istituto diretto da Mario Draghi: “Se il collega avesse letto l’ordine del giorno” spiega con calma, “avrebbe scoperto che parliamo della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa”. Che con la Bce non c’entra nulla. Ma Scilipoti è un bersaglio troppo facile. C’è Anna Finocchiaro che bacchetta i senatori, a destra e sinistra, citando Cicerone in latino. Ma sbaglia. E allora si alza Gasparri, quello che veniva redarguito dalla senatrice a Ballarò al grido di “Gasparri studia! Studiaaa...”. E Gasparri quasi non ci crede di potersi vendicare ripristinando il Cicerone corretto. Tiè! C’è Luisa Bossa, del Pd, secondo la quale “Tanto rumore per nulla” è un film mentre si tratta di “Molto rumore per nulla” che è una commedia di Shakespeare. Roberto Giachetti si morde la lingua troppo tardi, solo dopo che, rivolgendosi a Paola Binetti, ha appena detto che è stata “presa dall’orgia di votare”. Poi si ricorda del cilicio e ammette: “Lo so, questa finirà su Blob”.
Clima da gita scolastica
A dominare le giornate è un clima antico da gita scolastica, il pettegolezzo sussurrato, un’atmosfera surreale, degna del miglior Sorrentino, fatta di sghignazzate e impertinenze a cui i presidenti di turno assistono un po’ annoiati e spesso adirati. Qualche volta anche complici. Il sottosegretario Mazzamuto si alza dai banchi del governo con le mani in tasca e l’aula ne approfitta per protestare a lungo. Quello, invece di scusarsi, risponde: “Invece quando state con le spalle rivolte verso il governo, va bene?”. Sembra lo “specchio riflesso” che si rinfacciano i bambini a scuola.
Alessandra Mussolini non vuole sedersi nella parte alta dell’emiciclo, “nella piccionaia” come la chiama lei, perché non vede bene “il dito del capogruppo” che indica come votare. Poi, pizzicata da Fini mentre vota al posto di un collega, risponde che quello “sta in bagno”. Laura Ravetto, in veste da sottosegretario, presidia tutta sola il banco del governo ma quando le tocca intervenire si apparta al telefono in un angolo e il presidente Fini la deve richiamare più volte. Anche il democratico Della Seta non si fa scappare l’occasione di dire per 11 volte “testa di cazzo” a un collega leghista, costringendosi poi a scusarsi. I presidenti spesso si fanno coinvolgere. Gianfranco Fini, sentendo dei fischi provenire dal banco della Lega, commenta pronto, in linea con il clima: “Sono i pecorai che fischiano solitamente, non i deputati”. Nulla in confronto alla scenetta allestita dai presidenti di turno del Senato. La risoluta Rosi Mauro, appassionata di canzoni come “Kuli nudi”, sospende l’aula “in attesa che arrivi il vicepresidente di turno perché ho degli impegni anch’io, purtroppo”. Il collega è l’ex An Domenico Nania che arriva in ritardo. Ma i presidenti di turno del Senato di mestiere dovrebbero presiedere e invece lasciano scoperta l’aula perché “hanno altro da fare”. Al siparietto non sfugge nemmeno la rigorosa Emma Bonino, causa ultima dell’incidente, che aveva chiesto di essere sostituita da Rosi Mauro perché impegnata da altre incombenze. Segue immancabile dibattito di biasimo, le scuse del presidente formale, Renato Schifani, di fronte al quale tutti gli altri fanno la figura degli alunni quando devono essere interrogati o litigano.
“Il quadro che intende offrire questa raccolta - scrive nell’introduzione al libro, Palazzolo - è quello di una classe politica inadeguata a guidare un paese che viene definito come una delle grandi potenze industriali del pianeta”. Una classe politica “scadente, ignorante e incapace” di una citazione in latino o di pronunciare una parola in lingua inglese.
Parlamento in coma
Nel “Palazzo” non vengono nemmeno rispettate le norme di convivenza civile. Si fuma in faccia agli altri e “anche lasciare un cappotto appeso rappresenta un grosso rischio per l’incauto parlamentare”. Per chi non ci crede basta leggersi l’intervento di Angelo Compagnon, dell’Udc: “Signor Presidente, al rientro dalla pausa estiva abbiamo trovato aperti tutti i cassetti... personalmente mi è stato rubato anche il personal computer portatile, oltre ad aver trovato svuotati i frigoriferi, compreso quello chiuso a chiave”. Chissà cosa c’è in un frigorifero chiuso a chiave ma questo è quello che può capitare nel Parlamento italiano.
La sintesi la offrono, inconsapevoli mentre si azzannano, Fabrizzio Cicchitto e Gianfranco Fini: “La situazione è insostenibile” dice il primo. “Concordo con lei che la situazione è istituzionalmente insostenibile” replica Fini. E allora non resta che affidarsi alle parole dello scomparso Umberto Scapagnini, rinomato medico del Cavaliere, riemerso improvvisamente da un coma in cui sembrava spacciato. Tra gli applausi della Camera racconta all’aula la propria storia: “Ho seguito la volontà del Signore e mi sono riacceso, sono ricomparso, perfettamente cosciente (…) Poi mi sono addormentato e sono stato per 80 giorni in coma. (Applausi)”. L’aula si è immedesimata.