Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 10 Lunedì calendario

SIRIA PER IL FOGLIO DEI FOGLI DI LUNEDI’ 10 GIUGNO 2013


Domenico Quirico, il giornalista della Stampa di cui non si avevano notizie dal 9 aprile, alle 14 e 20 di giovedì scorso ha telefonato alla moglie Giulietta e le ha detto: «Sto bene. Mi hanno tenuto prigioniero per due mesi». Chiamava da Qusayr, la città siriana appena sottratta ai ribelli dalle forze di Assad. [1]

Quirico, 62 anni, di impressionante magrezza, ma anche di straordinaria forza fisica. Finita la riunione di redazione, invece di andare a pranzo, si sfogava correndo venti chilometri sulle colline torinesi: «Se no arrivo al giornale e ammazzo qualcuno». È uno che dorme poco, mangia pochissimo e quasi solo riso [2]. Giorgio Dell’Arti: «Ha sempre sostenuto che non si può fare il nostro mestiere senza andare sui posti, senza raccontare la sofferenza dei popoli. Era già stato rapito in Libia, due anni fa, assieme ad altri tre colleghi, e pure quella volta se l’era cavata». [1]

Il ministro della Difesa Mario Mauro a Omnibus su La7: «La situazione sul terreno è di una tale complessità e confusione che il fatto di ipotizzare il rapimento non aiuta a capire chi sono gli ipotetici interlocutori». Dell’Arti: «Non deve essere senza significato che Qusayr sia stata ripresa dalle forze di Assad. Potremmo arguire che i rapitori erano elementi comunque mescolati alle milizie contrarie al regime, messe in fuga dalla fine del vittorioso assedio lealista. L’ostaggio potrebbe essersi ritrovato così libero, o magari passato da una banda all’altra». [1]

La Siria confina a nord con la Turchia, a est con l’Iraq, a sud con la Giordania, a ovest con Israele e Libano. Sempre a ovest sbocca sul Mediterraneo.

In Siria attualmente stanno combattendo decine di nazionalità. Guido Olimpio: «Fra i “volontari” ci sarebbero un buon numero di francesi, di jihadisti kosovari, di bosniaci, di canadesi, scandinavi e ceceni. Il grosso è però rappresentato dai nordafricani. I tunisini, come raccontano le decine di storie dedicate ai martiri. I libici che ricambiano il favore, i salafiti egiziani. Una lista piuttosto lunga, che viene enfatizzata da quanti temono, un giorno, il rientro in patria di tanti islamisti. Sulla barricata opposta non stanno a guardare. Russia, Iran e Iraq mandano munizioni, mezzi, petrolio e consiglieri per puntellare Assad. Il lavoro sporco lo lasciano agli Hezbollah libanesi e ai loro “fratelli” iracheni». [3]

Mercoledì 5 giugno, dopo due settimane di combattimenti, i lealisti di Assad e Hezbollah hanno ripreso il controllo di Qusayr, città tra Homs è il confine con il Libano, al suono di 40 bombe al minuto [4]. Qusayr è il corridoio per le armi dirette ai ribelli. È il cardine tra la regione costiera (fedele agli Assad) e l’autostrada per Damasco, ma anche polo industriale in cui si concentrano le raffinerie di idrocarburi e passano le condotte di gas e greggio dirette ai terminali del Mediterraneo. [5]

Sul quotidiano libanese An Nahar si legge: «Ormai la guerra siriana si combatte anche qui. Sia sul campo, in città come Tripoli, sia sul piano politico». Non riuscendo ad accordarsi su una nuova legge elettorale, il parlamento di Beirut ha rinviato a novembre le elezioni legislative previste per giugno. [4]

Lunedì scorso l’Ue ha fallito l’intesa sul rinnovo dell’embargo per le forniture di armi alla Siria e, in pratica, ha stabilito che dal 1° agosto chi vorrà potrà approvvigionare gli arsenali degli oppositori del regime di Assad. Soddisfatti inglesi e francesi. Delusi, se non furiosi, gli altri. Israele promette reazioni se Putin fornirà missili a Damasco. Il quadro, se possibile, s’è fatto ancora più fosco. I russi affermano che la revoca è «illegittima» e che proseguiranno con le forniture dei missili antiaereo S-330 al regime «per dissuadere alcune teste calde dall’entrare nel conflitto». La replica di Israele: «Se i missili arriveranno in Siria, sappiamo cosa fare». [6]

Secondo le fonti ufficiali, gli americani e gli altri alleati danno solo assistenza non letale ai ribelli siriani. In segreto, però, si calcola che il solo Qatar abbia speso circa tre miliardi di dollari in due anni, per far arrivare ai ribelli almeno 3.500 tonnellate di armi. L’emiro Sheikh Hamad bin Khalifa alThani ha preso l’iniziativa perché vuole un ruolo di leadership nella rifondazione del mondo arabo dopo la Primavera, e vuole ostacolare le manovre dell’Iran sciita. Gli Stati Uniti hanno fornito copertura politica e intelligence, per evitare che le armi finiscano a gruppi legati ad al Qaeda come al Nusra. [7]

Al Nusra è una milizia esplicitamente legata ad al Qaeda, la più forte dell’Esercito libero siriano che combatte contro il regime di Assad. Leone Grotti: «La sua presenza e la sua attività è uno dei principali motivi per cui molti Stati non vogliono, al contrario di Regno Unito e Francia, armare i ribelli contro Assad». [8]

C’è poi il problema della armi chimiche. Scrive Natalie Nougayrède, direttore di Le Monde: «Ormai ci sono le prove. Sono scientifiche e indiscutibili. Il regime di Assad ha usato, in attacchi contro civili e ribelli, dei gas tossici contenenti il sarin». Ma Obama sembra volere prendere tempo «per poter rilanciare i negoziati e la conferenza di Ginevra 2. La questione delle armi chimiche complica questa strategia che richiede la collaborazione della Russia». [9]

Nell’estate del 2012 Hillary Clinton aveva cercato di convincere Obama che bisognava fornire armi ai gruppi di ribelli siriani per modificare i rapporti di forza sul campo. Ora, secondo il direttore di Le Monde, «il segretario di Stato John Kerry è stato incaricato di adottare un atteggiamento meno offensivo. Si capisce: le crisi mediorientali sono incastrate l’una nell’altra come matrioske, e l’occidente rischia di perdere credibilità cercando di sbrogliare questa matassa politico-diplomatica». [10]

Con Ginevra 2, la conferenza voluta dagli Usa in accordo con Putin per incontrare i rappresentanti del regime di Assad e gli emissari dei ribelli, la Russia avrà finalmente un posto in prima fila sullo scacchiere mediorientale e potrà ottenere la rinuncia dell’Occidente all’idea di realizzare un cambio di regime a Damasco. Natalie Nougayrède: «Una notevole marcia indietro, se si pensa che Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania hanno chiesto nel 2011 le dimissioni del dittatore siriano. Gli Usa hanno optato per rilanciare la diplomazia. Le trattative previste saranno quindi aperte a dirigenti di un regime che varie organizzazioni dell’Onu hanno formalmente accusato di “crimini contro l’umanità”». [10]

Intanto il 14 giugno si terranno in Iran le elezioni presidenziali da cui uscirà il successore di Ahmadinejad. Delle circa 700 richieste di candidatura arrivate al Consiglio, ne sono state accettate solo otto. [11]

Corrono per le presidenziali iraniane: Mohammad Gharazi (ex ministro del Petrolio), Mohsen Rezaei (ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie), Mohammad Bagher Qalibaf (sindaco di Teheran), Gholam Ali Haddad Adel (presidente del Parlamento, consuocero di Khamenei), Saeed Jalili (vicino a Khamenei), Ali Akbar Velayati (attualmente consigliere di Khamenei), Mohammad Reza Aref (ex vice primoministro) e Hasan Rowhani (ex capo della sicurezza nazionale). Quindi di otto liste, tre sono legate a candidati considerati “riformisti” e quattro a politici molto vicini alla Guida Suprema Ali Khamenei, carica più potente dell’intero sistema iraniano. [11]

Nicola Pedde: «Secondo l’ayatollah Mehdi Taeb, direttore del centro di studi di Ammar Strategic Base la Siria è considerata dall’Iran la sua 35esima provincia. Damasco è quindi per Teheran un bastione difensivo essenziale. Taeb ha ammesso: “La Siria ha un esercito, ma questo non è capace di combattere una guerra all’interno di un città. È per questa ragione che l’Iran ha consigliato alla Siria di costruire una propria struttura di Basij [milizie volontarie, ndr]”». E nel corso del 2012 l’Iran ha trasferito in gran segreto a Damasco alcuni reparti miliziani specializzati per addestrare i volontari fedeli al regime di Assad». [12]

«Ogni attacco alla Siria sarà considerato un attacco all’Iran» (il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Velaty, in corsa alle presidenziali, dopo il dispiegamento dei Patriot in Turchia alla fine di gennaio).

A proposito della crisi turca, il ministero degli Esteri siriano ha diramato un comunicato nel quale si legge: «Consigliamo ai cittadini siriani di non viaggiare in Turchia in questo periodo perché temiamo per la loro incolumità, a causa delle condizioni di sicurezza deteriorate in alcune città turche dopo gli ultimi giorni e dopo la violenza praticata dal governo di Erdogan contro le proteste pacifiche». Paola Peduzzi: «Il ministro dell’Informazione siriana, Omran al Zoubi, è andato persino oltre: ha condannato l’uso della violenza “eccessivo” da parte delle forze di sicurezza di Ankara e ha dichiarato che Erdogan dovrebbe fermare la violenza, lasciare il paese e cercare l’esilio. Non ci fossero dietro quasi 100 mila morti e un governo che da più di due anni reprime il suo popolo con violenza crescente, le dichiarazioni che arrivano da Damasco sarebbero davvero divertenti». [13]

I morti in Siria sono circa 90 mila, sette milioni i profughi (esterni e interni) [14]. Alla fine del 2013, l’Onu conta che oltre dieci milioni di siriani si troveranno in emergenza umanitaria e ha lanciato un appello chiedendo cinque miliardi di dollari per finanziare le operazioni di assistenza. Antonio Guterres, Commissario Onu per i rifugiati: «Equivale a ciò che gli americani spendono in gelati in 32 giorni. Equivale a quanto gli automobilisti tedeschi spendono in benzina in sei settimane. Non ricordo alcun salvataggio di una banca occidentale di medie dimensioni che non sia costato almeno 5, 6, 7 o 10 volte di più». [15]

Domenico Quirico: «Quella siriana è una delle tragedie più terribili degli ultimi anni. Io l’ho attraversata in modo diretto: dal 2011 ci sono andato varie volte. E ho visto l’impotenza del nostro lavoro a trasformare i fatti in coscienza, anche collettiva. La Siria non è diventata un problema della società civile occidentale. Io credo che questo sia accaduto perché non si riesce più a creare compassione. Questo è il problema dei giornali, non il bilancio in rosso, la pubblicità. Ma l’incapacità a raccontare il dolore. Si va nei luoghi in cui l’uomo soffre, ma non si comunica nulla, ci si perde dietro ad altre cose». [16]

(a cura di Jessica D’Ercole)

Note: [1] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta della Sport 6/6; [2] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 3/6; [3] Guido Olimpio, Corriere della Sera 27/5; [4] Internazionale 7/6; [5] Lorenzo Trombetta, Limes.it 6/5; [6] Marco Zatterin, La Stampa 29/5; [7] Paolo Mastrolilli, La Stampa 29/5; [8] Leone Grotti, ItaliaOggi 6/6; [9] lemonde.it 5/6; [10] Natalie Nougayrède, Le Monde 21/5; [11] Il Post 22/5; [12] Limes, marzo; [13] Paola Peduzzi, Il Foglio 5/6; [14] Francesca Paci, La Stampa 7/6; [15] Euronews.it 8/6; [16] Domenico Quirico, La Stampa 3/5.