Federico Rampini, la Repubblica 10/6/2013, 10 giugno 2013
L’ALLEANZA TRA BIG DATA E CASA BIANCA, COSì L’INTELLIGENCE CONTROLLA IL MONDO
Big Data, il sogno dell’onnipotenza tecnologica affascina Barack Obama. Anche il presidente progressista è sedotto dall’idea che il terrorismo possa essere sconfitto dalla tecnologia. In grande stile. Anzi: enorme. Big Data, è il nome con cui si designa una realtà: il moltiplicarsi esponenziale delle informazioni disponibili (soprattutto grazie a Internet, ma anche con altre tecnologie di raccolta di dati), che si accompagna con strumenti sempre più sofisticati per “elaborare” questa massa infinita di conoscenze. Altri neologismi in voga sono il “data mining”, letteralmente l’estrazione mineraria
di dati, che restituisce bene l’idea dei giacimenti sconfinati da sfruttare. O ancora: “datafication”, l’illusione che tutto lo scibile sia traducibile in formato digitale, in dati che software sofisticati filtrano, setacciano, interpretano. Dietro lo scandalo del Grande Fratello c’è questo progetto: grandioso al punto da dare le vertigini. Asettico, se lo si confronta col lavoro “sporco” dei servizi segreti all’antica. Insomma, prendi un incrocio tra il fu Steve Jobs, Bill Gates e Marc Zuckerberg di Facebook, e mettili a capo della Cia.
Non è un caso se la prestigiosa rivista
Foreign Affairs,
la Bibbia del Dipartimento di Stato, specializzata in approfondite analisi geostrategiche, ha deciso di dedicare il suo ultimo numero proprio a Big Data. Premonitore? Di certo, il progetto Big Data visto dalla Casa Bianca è la vera storia dietro la storia, il retroscena essenziale per capire la clamorosa vicenda dello spionaggio di massa. Il paradosso è nell’alleanza implicita tra la Silicon Valley, con la sua potenza tecnologica, e l’Amministrazione Obama. Da una parte la Silicon Valley esprime un capitalismo “liberal”, progressista su temi come l’ambiente o i matrimoni gay. D’altra parte gli stessi giovani imprenditori illuminati e innovativi non esitano a mettere la propria
potenza hi-tech al servizio del governo, in nome dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale.
Milioni di americani intercettati? Le loro email spiate quotidianamente? Ovviamente è impossibile. In questo la smentita di Barack Obama è corretta. Neppure il mastodontico apparato di sicurezza
della Homeland Security, il superministero degli Interni costruito da George W. Bush dopo l’11 settembre, potrebbe effettuare intercettazioni di massa su quella scala.
È impossibile se uno pensa alle intercettazioni in senso proprio, vecchio stile, con l’agente che
ascolta la singola telefonata. Quel che accade è diverso. In sostanza è come se tutti i tabulati delle telefonate venissero consegnati dagli operatori telecom a chi di dovere. È su quella massa informe, su quella materia prima dalle dimensioni colossali, che ha inizio il lavoro dell’intelligence tecnologica
a fini anti-terrorismo. Algoritmi sofisticati, sul modello di quelli che animano il motore di ricerca Google, vanno a caccia di trend, “rumori” sospetti, indizi anomali, all’interno delle nebulose Big Data. Lo stesso accade con le email, visto che i grandi provider da Google a Yahoo, da Aol a Microsoft, devono anch’essi “cooperare” con le autorità Usa ai fini della sicurezza nazionale. Anche qui, non è pensabile che ogni singola email venga “letta” come lo intendiamo noi, con gli strumenti di un semplice essere umano. È dalla massa del traffico che possono emergere “segnali sospetti”, opportunamente individuati e decodificati grazie alle nuove tecnologie che maneggiano i Big Data.
Queste operazioni, come ricostruisce proprio
Foreign Affairs,
subiscono un’accelerazione quando il Department of Homeland Security lancia il progetto Future Attribute Screening Technology (Fast): l’obiettivo è «identificare gli autori di atti criminali prima ancora che agiscano». In particolare, «individuare potenziali terroristi analizzando dati biometrici, body language, e altre segnalazioni fisiologiche». Qui siamo in piena fantascienza alla Philip Dick, come nel film Minority Report. Confluiscono con telefonate e email i filmati di milioni di videocamere di sicurezza, o gli apparati biometrici in funzione negli aeroporti.
Ci sentivamo già manipolati da Google e Facebook perchè usano ogni nostro gesto online per costruire il nostro identikit di consumatori e vendere le informazioni a scopo commerciale. Fanno molto di più, quelle informazioni le mettono a disposizione della Cia, dell’Fbi. Non è bastato, però, a prevenire i due giovani ceceni autori dell’attentato di Boston: i loro propositi jihadisti volavano troppo bassi? O è solo questione di tempo, nella corsa tra i software interpretativi di Big Data e il brusio quotidiano da analizzare?