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 2013  giugno 10 Lunedì calendario

«MA IL CALO DEI VOTANTI NON E’ PER FORZA UN MALE» —

«MA IL CALO DEI VOTANTI NON E’ PER FORZA UN MALE» — Roberto D’Alimonte, lei che è un politologo di lungo corso come lo vede questo crollo di affluenza alle elezioni?
«Ci sono due prospettive da tenere presenti».
Ovvero?
«Quella storica e quella comparata. Quella storica ci dice che dal 1979 ad oggi è stato sempre un decrescere di partecipazione: partivamo da oltre il 90% siamo arrivati al febbraio di quest’anno al 75%».
E quella comparata?
«Che l’Italia rimane comunque il Paese europeo con la più alta affluenza alle urne, rispetto alla Francia, alla Germania, all’Inghilterra che si fermano sotto il 70%. Alle ultime elezioni in Gran Bretagna, quelle che hanno portato Cameron alla vittoria, è andato a votare il 65% dei cittadini. In ogni caso tutte e due le prospettive ci dicono la stessa cosa».
Quale?
«Che la democrazia non deve essere messa in discussione per questo calo di votanti. Un alto livello di partecipazione non è necessariamente una cosa buona. E viceversa, un basso livello di elettori che infilano le schede nelle urne non è qualcosa di deprecabile».
Ma secondo lei perché la gente va sempre di meno a votare qui in Italia?
«I fattori sono tanti. Possiamo anche partire considerando il fatto che il voto di scambio, ovvero il voto clienterale, si va sempre più assottigliando».
Voto di scambio?
«Già. Un dato per capire. Alle ultime regionali in Lombardia solo il 13% ha scelto di votare la preferenza, mentre in Calabria è stato l’80%. Questo dovrebbe voler dire che i calabresi sono più attenti dei lombardi?».
Ma invece nel caso di questo turno di ballottaggio? Si è registrato circa il 10% in media in meno rispetto al primo turno...
«Anche per il ballottaggio può valere la riflessione di un calo di votanti dovuto al voto di scambio: ricordiamoci che rispetto al primo turno non c’è il voto di preferenza. Ma naturalmente non è soltanto questo».
Cos’altro?
«Di certo c’è la debolezza dei partiti che oggi non riescono più ad avere la forza per portare gente alle urne. Ma anche la debolezza dell’ideologia. C’è poi un altro fattore strutturale importante da considerare: l’invecchiamento della popolazione».
Siamo il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone...
«Già e le persone anziane spesso si recano malvolentieri a votare, dobbiamo tenere presente anche questo».
Ma invece si può fare qualche cosa per recuperare i partiti e le ideologie secondo lei?
«Certamente. Bisogna ricostruire una buona classe politica che ridia speranza alle persone. Ma questo non è qualcosa che si può improvvisare, è un processo di lunga durata. Comunque voglio ribadire il concetto che ho espresso prima».
Ovvero?
«Un’affluenza più bassa non vuol dire che le elezioni siano state meno buone. I sindaci che usciranno da queste urne saranno rappresentativi a tutti gli effetti, altrimenti dovremmo dire che la quasi totalità dei sindaci statunitensi non sarebbero sindaci democratici, eletti come sono stati eletti con il 40-45% degli aventi diritto al voto».
Alessandra Arachi