Emmanuel Le Roy Ladurie, la Repubblica 10/6/2013, 10 giugno 2013
DALLE CARESTIE DEL RE SOLE ALLE SOMMOSSE OPERAIE BREVE STORIA DEL MALTEMPO
OGGI, il maltempo figura spesso tra i discorsi più consueti della gente, e a buon motivo. Ce ne lamentiamo continuamente: gite annullate, inondazioni nel dipartimento dell’Aube, weekend “at home” diventati insopportabili per la loro ripetizione, prolungamento della costosa stagione del riscaldamento. I personaggi illustri non sono necessariamente al riparo dalle solite banalità su questo tema: nel corso di un incontro tra Charles De Gaulle e uno dei nostri scrittori più importanti, le due personalità, che del resto non avevano un granché da dirsi, ebbero una conversazione piuttosto banale sulla tromba d’acqua che si abbatteva in quel momento sui vetri del castello di Colombey. A Parigi, come altrove, i tavolini all’aperto dei caffè sono molto spesso deserti per ciò che un vecchio militante oggi dimenticato, Etienne Fajon (1906-1991), durante una Festa de L’Humanité trasformata in diluvio, definì «lo scatenarsi degli elementi» nello stile fiorito di un maestro elementare della Belle Époque.
Gli odierni agricoltori hanno, rispetto a un clima che ritengono a torto o a ragione sregolato, le loro reazioni abituali: lamentano il ritardo stagionale della maturazione dei frutti e degli ortaggi con il rischio che quest’anno cali la loro qualità. E magari saranno preoccupati, a più lungo termine, per il raccolto dei cereali, che finiranno per risentirne se si prolungherà un tempo freddo, malsano e iperpiovoso, come dicono quelli del meteo. Questa infausta eventualità, tuttavia, pur se concepibile, è tutt’altro che certa. In effetti, non si può prevedere che tempo farà con qualche certezza se non entro gli otto o i dieci giorni.
LE INTEMPERIE PRIMAVERILI
Eppure, alcuni specialisti, che si considerano forse a ragione meglio informati, non provano il minimo imbarazzo nell’annunciare un’estate guastata dal maltempo. Immaginiamo che le attuali intemperie primaverili si prolunghino nelle settimane e nei mesi a venire. Beninteso, è caso mai il contrario che può avvenire, ovvero il ritorno del bel tempo. Ma rimaniamo sull’ipotesi del peggio, come si usa fare oggi. Supponiamo inoltre, ipotesi supplementare e controfattuale, di trovarci in una situazione di povertà quasi globale, tipica di un mondo medievale o dell’economia dell’Ancien Régime. Si tratterebbe dunque di un assaggio di una volta, “del bel vecchio tempo”, di fatto brutto su quasi tutta la linea, come fu il caso nelle famose carestie del 1314-1315, o del 1692-1694: raccolti distrutti dall’eccesso di piovosità; prezzo dei cereali triplicato o quadruplicato; pane quotidiano carissimo; aumento della mortalità per l’estrema sottoalimentazione e per le epidemie collaterali; ricerca disperata di un approvvigionamento di viveri attraverso le importazioni dai paesi europei o da altri non toccati dalla carestia né dall’eccesso di piogge; messe e preghiere alla Madonna, a reliquie o a santi protettori di cui si mutilano le statue per muovere questi intercessori ad essere più dinamici contro le precipitazioni abbondanti.
Non siamo più a questo livello dal punto di vista religioso, ma fenomeni di questo tipo erano relativamente frequenti tra il XIV e il XVII secolo. La cosa diventava ancor più pressante quando la carestia, dovuta alle piogge eccessive, era complicata da una situazione di guerra oltre confine o, peggio ancora, di guerra civile. Nel primo caso, sotto Luigi XIV (1654-1715), per esempio, le tasse per finanziare gli eserciti reali subirono un pesante aumento: i piccoli contadini e i poveri delle città ne furono duramente colpiti e morirono in massa, come accadde nell’enorme crisi nell’approvvigionamento dei viveri degli anni 1692-1694, dove si ebbero 1,3 milioni di morti supplementari tra i 19 o 20 milioni di indigenti dell’esagono francese. Nel XV secolo, il complesso guerra civile—guerra oltre confine si associa tragicamente a una situazione meteorologica momentaneamente disastrosa per i raccolti e per l’alimentazione popolare. Questo accadde in particolare nella seconda metà della Guerra dei Cent’anni (1337-1453), con le grandi carestie degli anni 1420, 1432 e 1437-1439. Le ultime tre furono dovute al freddo e alle piogge abbondanti, aggravate da saccheggiatori e mercenari, inglesi e non solo, che distruggevano le popolazioni aiutati in questo da una congiuntura meteorologica troppo aggressiva o semplicemente troppo umida. Questo era, in alcuni dei suoi aspetti più negativi, il mondo che abbiamo perduto, The World We Have Lost, per riprendere il titolo di un libro diventato famoso dello storico inglese Peter Laslett (1915-2001).
Le carestie dovute al freddo e soprattutto alle piogge eccessive sono scomparse nel secolo XVIII, a parte alcuni eventi più invernali che pluviometrici. Ad esempio, nel 1740, e molto più tardi nel 1802, o ancora durante la Restaurazione nel 1816, in seguito alla notevole eruzione del vulcano indonesiano Tambora. Possiamo citare, inoltre, le forti piogge degli anni 1828-1831, che riguardarono la Francia in particolare. Esse contribuirono, andando a colpire le messi e perfino gli allevamenti, al rincaro delle derrate agricole e di quelle panificabili, causa, tra tante altre, di una certa agitazione popolare, a volte rivoluzionaria, a Parigi nel 1830 e a Lione nel 1832. Dal 1806, la piovosità a volte eccessiva continua di tanto in tanto a disturbare i nostri raccolti, ma le importazioni di frumento americano, argentino e australiano sono sufficienti per disinnescare eventuali sommosse.
LE SOMMOSSE OPERAIE IN FRANCIA
A partire dagli anni 1910-1913, anche in Francia ci sono delle sommosse operaie non più per il pane, ma per la carne. È un fenomeno che si inserisce in un processo generale di “conversione alimentare alla carne”, correlativa all’eccesso di animali allevati su scala mondiale in Brasile. L’operaio della Belle Époque non reclama più solo il suo pane quotidiano, ma anche la sua bistecca. Dal grano alla carne, dal pane alla bistecca, potremmo dunque evocare, nello stile dello storico americano Thomas Kuhn (1922-1996), un autentico cambio di paradigma. Malgrado le recriminazioni degli scienziati, che si lamentano a ragione della dipendenza dei nostri contemporanei dal cibo a base di carne. Questo ha preso il posto — dobbiamo dire definitivamente? — del buon pane di una volta e di altri pasticci cerealicoli di cui un tempo si riempivano volentieri la bocca i Galli nostri antenati.
(Traduzione di Luis E. Moriones)