Francesco Ceniti, La Gazzetta dello Sport 10/6/2013, 10 giugno 2013
«HO FATTO TANTI ERRORI, MA QULL’AUTOGOL NON ERA VOLUTO»
«Lo farò, tra qualche anno. Ma lo farò: mia figlia non dovrà vergognarsi. Le racconterò degli errori, il rischio di gettare a mare un’esistenza, la voglia di ripartire guardando in faccia la gente. La stringerò forte per farle capire che si possono commettere tante sciocchezze, ma poi devi avere la forza di affrontare i tuoi demoni e liberarti la coscienza. Le dirò del carcere, di quando sono venuti a prendermi e stavo svenendo, della mamma che piangeva... Ho sbagliato, ma non ho ucciso nessuno. Persone importanti mi hanno fatto la morale, dipingendomi come il diavolo. Non ero un santo, ma neppure il diavolo. Adesso parlo. E qualcosa da dire c’è. A partire dall’autogol nel derby con il Lecce: non l’ho fatto apposta». Sole, nuvole, vento, pioggia e poi ancora sole. A Viareggio il tempo fa le bizze. Sembra quasi che segua il discorso di Andrea Masiello, cambiando il colore del cielo a secondo dell’umore di questo ex ragazzo di 27 anni. Nell’aprile 2012 è stato arrestato a Bari: agli occhi del tifoso è diventato «l’infame» che si vende il derby. Si può fare tutto nel mondo del calcio, ma un derby è sacro. Quasi che il calcioscommesse fosse solo in quell’istante. La storia di Masiello dice anche altro: si è presentato in Procura per collaborare dopo aver letto il suo nome (fatto da Gervasoni) sui giornali. E’ stata una confessione «a rate», ma tra gennaio e marzo 2012 ha messo nero su bianco tutto quello che sapeva. Dopo il fermo non ha aggiunto nulla di nuovo. Stessa cosa con la giustizia sportiva: ha vuotato il sacco, raccontando episodi lontani come le combine con Treviso e Salernitana. Rivelazioni alla base degli ultimi deferimenti. Ma l’autogol è sempre l’autogol: quella sfida (comprata secondo i magistrati) al Lecce è costata la retrocessione. Meglio approfondire.
Masiello, è stato lei a incolparsi: perché lo ha fatto e qual è la verità?
«Bisogna trovarsi in certe situazioni. Avevo ammesso le mie responsabilità, parlato degli Zingari, delle pressioni dei tifosi. E restava quella gara. I magistrati erano convinti che l’avessi fatto apposta, ho spiegato diverse volte che non era così. Poi ho detto “sì”. Forse per sfinimento. Ha presente l’azione?».
È uno dei video più cliccati: lei quasi inciampa, calcia col destro, carambola sul piede e il pallone va nella porta vuota.
«Appunto, un vero disastro. Ma secondo lei uno che vuol fare un autogol fa questo cinema? Chi ha giocato anche in Terza categoria sa che è impossibile. Se volevo far male alla mia squadra c’erano altri modi. Rivedetevi la gara: nel primo tempo salvo un gol con una rovesciata. Quel derby l’ho giocato sul serio. Le cazzate le ho fatte prima e dopo».
E i soldi avuti per comprare il derby? Circa 300 mila euro...
«Non li ho presi. Certo, ho assecondato Giacobbe e Carella (arrestati con lui, ndr). Mi dicevano “ci sistemiamo”. Carella aveva contattato quelli del Lecce facendogli credere che potevano comprare la sfida. In estate siamo andati da loro: ho detto che l’autogol era vero».
Dovremmo crederle?
«Non siete obbligati. Ci sono stati mesi in cui non riuscivo a dormire. Dopo i primi arresti, vivevo nel terrore. Sapevo che Bellavista poteva raccontare dei fatti di Bari, quando venivano in molti a chiederci di combinare le partite per le scommesse».
Perché buttare al vento una carriera in questo modo?
«Ero un bamboccione e non capivo quello che stavo facendo. La consideravo una bravata, ma senza conseguenze. E perché nel calcio c’è una mentalità distorta che ti porta a ragionare in modo sbagliato. Diventi un eroe se non parli, se racconti la verità sei un ignobile. Il calcioscommesse non è solo Paoloni, Masiello, Gervasoni, Carobbio, Doni. E’ molto, molto di più».
Si potrebbe obiettare: dice così perché è stato scoperto...
«Alt, precisiamo. Potevo stare zitto e negare all’infinito. Altri lo hanno fatto davanti a prove schiaccianti. Qualcuno è stato creduto e riabilitato. Ognuno risponde alla propria coscienza. Ho collaborato, pagandone le conseguenze».
Ma ha ottenuto uno sconto sulla squalifica.
«Certo, sarei un ipocrita se non lo ammettessi. Ma non è facile lo stesso. Hai quasi la sensazione che il sistema non ostacoli chi sta zitto. A parole tutti dicono che vogliono pulizia, nei fatti dobbiamo impegnarci per dimostrarlo. Siamo il Paese dove è normale far vincere una squadra perché “tanto siamo salvi”, dove “meglio due feriti che un morto”, dove ti fanno capire “lascia stare, metti nei guai un compagno”. Siamo il Paese che ha in pratica espulso Simone Farina perché ha denunciato Zamperini».
Non vorrà paragonarsi a Farina?
«Per carità, lui ha avuto la forza di opporsi alla combine. Io ci sono finito dentro. Ma dove è ora Farina? Nessuno gli ha offerto un contratto, è andato in Inghilterra. Altri giocatori hanno ottenuto sconti impensabili senza ammettere nulla e adesso hanno un ingaggio».
Chi l’ha aiutata in quei mesi difficili?
«Mia moglie: le ho detto la verità quando sono uscite le prime voci. Poi Salvatore, il mio avvocato (Salvatore Pino, ndr). Con lui mi sono aperto poco alla volta, mi vergognavo. Veniva più facile scrivergli le cose sullo schermo del telefonino . Mi ha fatto pure da psicologo. E’ stato fondamentale. Come l’altro legale, Matias Manco. Poi papà, mamma e mio zio. Gli amici? Prima ne avevo tanti, ora li conto su una mano. Gli altri mi hanno voltato le spalle. Istruttivo».
Quando ha iniziato a deragliare?
«E’ accaduto a Bari: c’è un ambiente particolare. Gioco e scommesse sono una malattia. Hanno ragione i magistrati, moltissimi calciatori scommettono. A Bari la prima volta dico “no”. C’era da dare la vittoria al Treviso, mi faccio squalificare. Passa un anno, siamo già promossi. Dobbiamo andare a Salerno: i tifosi ci chiedono di perdere, poi arriva la proposta dei soldi, la squadra accetta. Settemila euro per rovinarsi la vita. Secondo lei ne avevo bisogno?».
Il peggio accade nell’anno della retrocessione.
«Sì, da marzo in poi è stata una processione. Prima Bellavista e i tifosi al campo, poi Iacovelli che mi presenta Gegic, l’offerta di Guberti per far vincere la Samp, i soldi portati da Ilievski per perdere a Palermo. Sono crollato, non capivo nulla. Eravamo allo sbando, abbiamo avvisato la società. Niente, non ci hanno portato in ritiro, lontano da quel macello. Certo, potevo denunciare. Non ho avuto il coraggio. Ho sbagliato, pensavo finisse lì. Ed è giusto che paghi. Mi sono fatto il carcere, i domiciliari, ho patteggiato 22 mesi e dato 7 mila euro per rifare un campetto».
Poi c’è l’aspetto sportivo...
«Squalifica fino a settembre 2014 e 60 mila euro di multa».
Cosa si aspetta dal futuro?
«Tornare in campo. Mi alleno ogni giorno con l’aiuto del preparatore Marco Terzi (fisicamente è tirato a lucido, ndr), poi gioco con amici due volte a settimana. Certo, mi manca il gruppo, la vita di squadra e il resto. Non voglio togliermi questa speranza. Ho l’età e le motivazioni per recuperare il tempo perduto: credo di poter giocare di nuovo in A. Adesso il minimo che posso fare è chiedere scusa a tutti i tifosi, iniziando da quelli del Bari e dell’Atalanta. E soprattutto al presidente Percassi che aveva riposto in me grande fiducia. Questa storia mi ha fatto crescere. Ora sono un uomo. Si concedono nuove opportunità anche a chi ha commesso sbagli molto più pesanti del mio, perché non dovrei averle io?».