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 2013  giugno 11 Martedì calendario

BASTANO I SOLDI DI UN INDONESIAMO PER FAR DIMENTICARE L’EPOPEA DI MORATTI?

Nel calcio i presidenti di società sono sempre stati visti come quelli che devono mettere soldi. Più ne mettono e più sono buoni presidenti. Si è imparato anzi a diffidare di chi parla di guadagni, almeno tra le squadre che devono vincere. Evitiamo per adesso di chiederci se sia giusto o meno, restiamo ai fatti come sono stati fino a oggi. La ragione sociale di un grande club non è mai stata fare soldi, ma vincere. Le due cose insieme non si sono mai ben abbinate, in Italia, anzi, non ci sono riscontri. Si parla molto del Verona di trent’anni fa, lo si ricorda giustamente come una straordinaria eccezione, dimenticando due cose. Che accadde trent’anni fa, in assenza di diritti televisivi. E che il Verona ,nel giro di un paio d’anni dopo lo scudetto, fu travolto dai debiti.
Diamo dunque per dato l’assunto e proviamo a farci un’altra domanda: e se accadesse che i presidenti volessero improvvisamente un grande club non per rimetterci ma per fare soldi? Se di colpo finisse questa eterna abitudine di ricapitalizzare per decine di milioni ogni anno in nome di una popolarità precaria, come la metteremmo? Fare soldi con il calcio è possibile, dieci società su venti sono attive, ma non quelle che lottano per vincere. Unica eccezione è, per adesso, il Napoli, che in due anni, però, ha quasi raddoppiato il suo monte-stipendi. E deve ancora cominciare a vincere. Diciamo che questo cambio di cultura, questo improvviso salto imprenditoriale, sia una visione eccessiva, forse sbagliata, ma segnali ne stanno arrivando. Il Milan si è smagrito, Pallotta non ha preso la Roma per rimetterci, l’Inter è sfinita dai soldi perduti, la Juve è contenta di aver dimezzato le perdite. Infatti il campionato è cambiato. Il Milan lotta per il terzo posto fino all’ultima giornata con la Fiorentina, la Roma paga ancora i debiti della gestione precedente, l’Inter ha fatto un sesto e un nono posto nelle ultime due stagioni.
La ricerca di un bilancio migliore, l’impoverimento generale, sta causando equilibrio. Ma l’equilibrio non è accettato. L’equilibrio è una rivoluzione. Berlusconi è costretto a convincersi che non è il Milan ad essere normale, ma Allegri che lo allena troppo normalmente. I romanisti assaltano Trigoria, gli juventini soffrono la lentezza del mercato, i laziali chiedono «investimenti» a Lotito, scambiandolo per quello che non è mai stato. E gli interisti, in tredicimila, votano sul sito della Gazzetta perché arrivi l’indonesiano Thohir. Interesserà ai tifosi il bilancio migliorato del Milan se la squadra arrivasse di nuovo terza l’anno prossimo? Credo di no. Si è sempre giustamente pensato che il vero problema del calcio fosse pagare meno i giocatori, dimenticando la felicità e le esigenze dei clienti, cioè i tifosi. Se il calcio vuole trasformarsi in un’azienda vera, il suo problema non sono più i giocatori. Oggi il problema sono loro, i clienti, a cui deve andare una merce peggiore. E nessun cliente è pronto al sacrificio.
La dimostrazione più forte arriva proprio dall’Inter. È bastato ci fosse l’interessamento di un signore mai visto, ma ha un padre che vale 40 miliardi, perché finisse nel dimenticatoio tutta la gestione Moratti. Appena tre anni dopo aver vinto la Champions e quattro scudetti in fila, anzi cinque. E il cuore, la tenera follia degli interisti, l’amore per la Famiglia che ha costruito le grandi Inter del dopoguerra, la riconoscenza per una passione non dell’ultima ora, l’amore per le bandiere? Niente. È bastata una manina che si agitava dall’Indonesia per cadere in piccolo deliquio, per votare contro Moratti. Questa è la vera ideologia del calcio, pretendere sempre. E appena riscuoti meno, salutare, accompagnare alla porta, se non sbatterla. Complimenti e auguri.